L’ha condotta Transparency International Italia, in collaborazione con Rissc e Ispe-Sanità. Molti dati raccolti ma il fenomeno è difficile da monitorare. Si pensa che i casi siano molti di più in tutti i campi: farmaci, nomine, appalti di beni e servizi, sanità privata e negligenza medica. LA MAPPA. Quanta corruzione c’è nella sanità italiana? Non è possibile quantificarlo con precisione, anche se si annida ovunque, a qualsiasi livello, dal direttore all’azienda di pulizia. Di certo c’è che negli ultimi anni è diventata molto più sofisticata: non si vede più l’imprenditore che consegna la valigia piena di soldi al direttore generale della Asl, ma l’informatore scientifico dell’azienda farmaceutica che fa avere regali e favori al primario o al medico, finte consulenze, benefici fiscali.
Insomma, modalità che rendono più difficile intercettare il reato di corruzione, che magari emerge dopo parecchio tempo, per un caso fortuito. In ogni caso nessuna regione italiana ne è esente. Nel 2012 solo quattro regioni sembrano esserne state immuni, o aver registrato al massimo due casi di corruzione. Per tutte le altre si va da un minimo di 2 ad un massimo di 10, con in cima a questa poco onorevole classifica la Campania, con oltre 10 casi. La seguono a ruota Calabria, Puglia e Sicilia con 8-10 casi e Lombardia e Umbria con 6-8. A fare un’analisi approfondita del fenomeno è la ricerca condotta da Transparency International Italia, in collaborazione con Rissc e Ispe-Sanità, e presentata a Milano al convegno “Sprechi e corruzione in sanità: quali rimedi?”.
La sanità è tra i settori a maggior rischio di corruzione. Tra gli 87 casi rilevati, dallo studio, nel 2012, sulla base dei casi denunciati, le indagini aperte, i processi iniziati o chiusi, oasi ‘pulite’ appaiono essere solo 4 regioni, cioè Val d’Aosta, Trentino Alto-Adige, Friuli Venezia Giulia e Basilicata. In mezzo ci sono Piemonte, Liguria, Marche e Abruzzo con 2-4 casi, e infine Veneto, Emilia-Romagna, Toscana, Lazio, Molise e Sardegna con 4-6 casi. Ma, spiega Lorenzo Segato, direttore del Centro ricerche studi su sicurezza e criminalità (Rissc), “non è possibile sapere quanta corruzione c’è. Non sappiamo ad esempio se nelle regioni dove abbiamo rilevato più casi nel 2012 è perché effettivamente vi sia più corruzione o perché ne vengano scoperti di più”.
A rendere più difficile la lotta alla corruzione vi sono anche delle caratteristiche proprie del reato in sé, e in particolare nella sanità. “Il reato corruttivo – continua – è un accordo tra persone, in cui nessuno ha interesse a denunciare, e dove non ci sono vittime dirette, né una conseguenza immediata. Ad esempio probabilmente non si sarebbe scoperto il caso della fornitura di valvole cardiache difettose se non fosse morto qualche paziente. E’ quasi impossibile calcolare il danno indiretto, senza contare che c’è la commistione con altri fenomeni. Le inefficienze in sanità rappresentano il 3-5%, ma all’interno di queste cifre non si può stabilire quanto sia rappresentato dalla corruzione. Non si può scindere insomma lo spreco dalla corruzione”. Poi ci sono caratteristiche del mondo sanitario che rendono ancora più difficile l’emersione dei fenomeni corruttivi, come il fatto che avvengono in strutture molto grandi, con migliaia di dipendenti e prestazioni erogate, dentro cui è facile nascondere operazioni poco pulite.
I casi di corruzione analizzati da Transparency Italia rientrano in cinque categorie: nomine, farmaceutica, appalti di beni e servizi, sanità privata e negligenza medica. Nel primo caso lo studio rileva come la politica usi la sanità come serbatoio e spartizione di voti. Qui le merci di scambio sono la nomina a direttore generale, sanitario o primario in cambio di voti e finanziamenti. “E’ la corruzione più dannosa – prosegue Segato – perché mina l’implementazione delle politiche sanitarie”.
La corruzione più diffusa è invece quella che riguarda i farmaci: in questo caso in cambio della scelta di un farmaco da parte di uno studio medico, un ospedale o una asl, la ricompensa è costituita da regali, macchinari, finanziamenti. La corruzione più costosa è quella degli appalti di beni e servizi, visto che rappresentano il 20-30% dei bilanci sanitari. In questo caso il beneficio viene elargito per avere l’appalto con gare tagliate su misura, trattative negoziali, abuso della contrattazione diretta, o anche in fase di fornitura, dando servizi di qualità e prezzo minore rispetto a quanto promesso nel capitolato d’appalto. “Oppure le aziende pagano per essere pagate prima delle altre dalla pubblica amministrazione – aggiunge Segato – senza contare il rischio di infiltrazione mafiosa, specialmente nei servizi di bassa specializzazione, come le pulizie o la vigilanza”.
La corruzione nella sanità privata è invece giudicata quella più pericolosa per la salute del cittadino. In questo caso si cerca di intervenire sugli accreditamenti, i drg o modificare il valore delle prestazioni, senza dimenticare che anche qui si annida il rischio di infiltrazioni mafiose, con il riciclaggio di denaro sporco con cui magari vengono acquisite intere cliniche. Infine la negligenza medica: qui la corruzione è meno rilevante economicamente, ma più iniqua, perchè limita l’accesso alle cure in base alle possibilità economiche del paziente. Per cercare di arginare il fenomeno in qualche modo, Transparency Italia ha elaborato 15 proposte, che vanno dal risanare il rapporto tra politica e sanità all’accreditamento delle strutture private sulla base delle reali capacità fino all’uso di ‘vedette civiche’. “Il passo successivo – conclude Segato – sarà quello di elaborare 15 proposte pratiche da fare a piccoli passi, facili da realizzare per cui non potranno più essere addotte scuse se non verranno messe in pratica”.
20 settembre 2013