La cura funziona: il paziente reagisce. Il rapporto della Ragioneria generale dello Stato valuta positivamente gli effetti della terapia intensiva cui è stata sottoposta in questi anni la spesa sanitaria. Il giro di boa è nel 2011, quando per la prima volta è comparso un segno meno davanti alla spesa delle Regioni (-0,1%). Un progresso confermato, e appena ampliato, nel 2012 (-0,3%) che ha fatto dire alla Corte dei conti, nel recente rapporto sul settore: «La legislatura che si apre vede una situazione economica del sistema sanitario migliore del passato». Si è dimezzata la spesa per il personale sanitario nel periodo 2006-2010, complici il blocco del turn over, il blocco delle procedure contrattuali, il limite al riconoscimento di incrementi retributivi al personale dipendente.
Gli interventi
Ma quali strumenti hanno funzionato meglio e quali avrebbero bisogno di una revisione? Blocco del turn over e degli incrementi retributivi hanno agito pesantemente sul contenimento della spesa per il personale dipendente. Così come è stata determinante, per quella della farmaceutica convenzionata, la previsione di un tetto e di un meccanismo di recupero automatico a carico delle aziende farmaceutiche dell’eventuale sforamento dello stesso. Ma anche la predisposizione di un sistema di monitoraggio delle prescrizioni farmaceutiche, attraverso la tessera sanitaria, per non parlare del contributo dei ticket sanitari, imposti dalle Regioni sottoposte ai piani di rientro. Restano indietro altre voci, come quella dei farmaci ospedalieri che registrano tassi di crescita sostenuti, sia a seguito della continua introduzione di farmaci innovativi, specie nel campo oncologico, sia per le politiche di incentivazione della distribuzione diretta dei farmaci da parte delle Asl.
Le tappe del risanamento
A questo risultato si è arrivati gradualmente. Il primo punto di svolta è nel 2006 il Patto per la Salute del governo Prodi, che elaborò nuovi strumenti quali la costruzione di benchmark di spesa e di qualità, la previsione di meccanismi premiali e sanzionatori, l’introduzione dei piani di rientro. Ma soprattutto fece venir meno la regola «dell’aspettativa del ripiano dei disavanzi» che rendeva necessaria una rinegoziazione a piè di lista dei finanziamenti.
Ancora fino al 2012 però, la ripartizione del finanziamento del Servizio sanitario nazionale tra le Regioni veniva effettuata sulla base della popolazione residente, suddivisa per classi di età e sesso, e pesata in base al profilo dei consumi sanitari. Il secondo punto di svolta è dunque la procedura di determinazione dei fabbisogni standard regionali introdotta nel 2011 dal governo Berlusconi con il federalismo fiscale.
La Ragioneria ricostruisce la dinamica del finanziamento ordinario della spesa sanitaria corrente, passata nel periodo 2002-2012 da 78.977 milioni di euro a 110.136, con un tasso di crescita medio annuo pari a 3,4%. Dato che va paragonato al tasso di crescita del Pil (prodotto interno lordo), pari all’1,9%.
Ma se nel periodo 2000-2006 il tasso medio di crescita della spesa è del 5,8% annuo, nel periodo 2006-2010, cala al 2,8%, a fronte di un tasso medio di crescita del finanziamento del 3,4%. Il contenimento della dinamica è confermato negli anni successivi: nel periodo 2010-2012, infatti, la spesa sanitaria ha registrato una riduzione dello 0,2% medio annuo, a fronte di un tasso di crescita medio annuo del finanziamento dell’1,1%.
Cosa è successo? Tra il 2004 e il 2005 ancora si ripianano a piè di lista quattro miliardi di disavanzo del periodo 2001-2004. Da quel momento in poi il sistema entra sotto controllo: nel 2006 dei circa 6 miliardi di euro di disavanzo complessivo del settore sanitario, circa 3,8 sono concentrati nelle regioni Lazio, Campania e Sicilia. Si decidono ora i primi piani di rientro, veri e propri programmi di ristrutturazione industriale. «Uno strumento — osserva la Ragioneria — che individua e affronta selettivamente le cause che hanno determinato strutturalmente il prodursi dei disavanzi».
La cura dei «piani»
Ed ecco i risultati: per la Ragioneria il contributo al contenimento della spesa delle Regioni sottoposte ai piani di rientro (Lazio, Sicilia, Abruzzo, Molise e Campania) è «sensibile». Il loro tasso di crescita della spesa medio annuo, pari al 6,7% nel periodo 2002-2006, crolla all’1,5, nel periodo 2006-2010, con un’ulteriore riduzione dello 0,7% nell’ultimo triennio. Valori sensibilmente inferiori a quelli delle Regioni non sotto piano di rientro: 3,4% nel 2006-2010 (rispetto al 5,3% del periodo precedente).
A questo punto sono le Regioni autonome a pesare di più: nel periodo 2002-2006 l’incremento medio annuo della loro spesa era pari al 4,6%, nel 2006-2010 è ancora al 4,4%. «Ma nei confronti di queste Regioni — fa osservare la Ragioneria — lo Stato non ha strumenti d’intervento diretto sulla dinamica di spesa e pertanto le politiche di contenimento sono state meno efficaci». È così che l’anno scorso il 44% circa del disavanzo sanitario regionale è stato generato proprio dalle Regioni autonome.
Dimezzati i costi del personale
Si è dimezzata la spesa per il personale sanitario nel periodo 2006-2010, cioè subito dopo l’introduzione dei piani di rientro regionali: l’incremento medio annuo era del 4,9% nel periodo 2002-2006, poi è calato al 2,4%. Il contenimento deriva dal blocco del turn over attuato dalle Regioni sotto piano di rientro e dal contenimento della spesa per il personale portato avanti autonomamente dalle altre Regioni. La dinamica dell’ultimo triennio è, inoltre, influenzata dal blocco delle procedure contrattuali relative al biennio economico 2010-2012, nonché dalla previsione di un limite, vigente sino al 31 dicembre 2014, al riconoscimento di incrementi retributivi al personale dipendente, che non può eccedere il livello vigente nell’anno 2010, fatto salvo il riconoscimento della indennità di vacanza contrattuale.
Tali misure si sono riflesse in una riduzione nel periodo 2010-2012 pari al 2,2% medio annuo. Un buon risultato considerato che la spesa per il personale vale un terzo di quella totale. Il contenimento è stato maggiore nelle Regioni sottoposte a piano di rientro, la cui dinamica è passata da un incremento medio annuo del 5,9% nel periodo 2002-2006 a un incremento medio annuo dell’1,1% nel periodo 2006-2010.
La tessera e i risparmi sui farmaci
La spesa farmaceutica convenzionata è passata da un incremento medio annuo dell’1,2% nel periodo 2002-2006 a una riduzione del 3,1% nel periodo 2006-2010, riducendo il suo peso percentuale sulla spesa sanitaria totale dal 12,5% al 9,9% nel 2010. Nel triennio successivo tale dato si è ulteriormente ridotto, evidenziando un tasso di variazione medio annuo negativo pari addirittura a -8,5%. A questo punto il peso percentuale della spesa farmaceutica convenzionata sulla spesa sanitaria nell’anno 2012 è pari all’8,3%. «Tale performance — osserva la Ragioneria — è principalmente il risultato degli strumenti di monitoraggio e di governance della spesa farmaceutica convenzionata progressivamente introdotti». In primo luogo, la previsione di un tetto alla spesa farmaceutica convenzionata, fissato al 13,1% per l’anno 2012, con un meccanismo di recupero automatico a carico delle aziende farmaceutiche dell’eventuale sforamento del tetto. In secondo luogo ha giocato positivamente la predisposizione di un sistema di monitoraggio delle prescrizioni farmaceutiche, attraverso la tessera sanitaria. Molto ha contato l’introduzione, sia nelle Regioni sotto piano di rientro che nelle altre, dei ticket farmaceutici. (Antonella Baccaro – Corriere della Sera – 3 giugno 2013)
Lorenzin: «Recupereremo altri due miliardi. Prevenzione e cure a casa. No a nuovi ticket nel 2014»
Beatrice Lorenzin, secondo la Corte dei conti gli italiani sostengono 2,9 miliardi di ticket all’anno. Eviterete la nuova stangata da 2 miliardi nel 2014?
«La domanda non è esatta», obietta il ministro della Salute.
Perché?
«Questi nuovi ticket non possono essere aggiunti. La manovra finanziaria del 2011 prevedeva di chiedere ai cittadini un contributo ulteriore alla spesa per un valore di 2 miliardi ma una sentenza della Corte costituzionale nel 2012 ha stabilito che lo Stato ha usato uno strumento illegittimo. Quel punto della manovra è stato cancellato tanto che il Documento di economia e finanza 2013 ha preso atto della sentenza e l’ha corretto».
Quindi?
«Quindi è già scritto. Niente nuovi ticket».
Però c’è il rischio che quei 2 miliardi rientrino dalla finestra sotto forma di tagli in una manovra successiva, come sospettano le Regioni. Timore fondato?
«No, è un timore irrealistico se guardiamo la situazione del fondo sanitario nazionale. La spesa sanitaria è nel settore pubblico la più conosciuta e dunque la più aggredibile. In quattro anni siamo riusciti a tagliare 4 miliardi di deficit sui 6 previsti. Un sacrificio immane per le Regioni e le strutture. Restano due miliardi da recuperare ma sono interventi sul territorio dove comunque sono già in atto importanti ristrutturazioni. Nel giro del 2015 il deficit dovrebbe essere rientrato. Non significa che finirà la fase del rigore. Ci sono altri margini di risparmio che si possono realizzare senza tagli lineari attraverso la programmazione regionale e iniziative di razionalizzazione come ad esempio portare a regime la sanità elettronica, il riordino delle reti ospedaliere, la medicina di iniziativa, cioè di prevenzione attiva, l’assistenza domiciliare».
La mina del nuovi ticket è stata disinnescata. Quelli già esistenti li lascerete invariati o pensa ci debba essere una revisione, lavoro già abbozzato dal governo precedente?
«È un tema legato alla riforma fiscale e alla pressione sulle famiglie. I ticket dovrebbero essere sì riformati collegandoli alle reali capacità economiche dei cittadini. C’è in effetti una disparità. Circa il 50% delle persone assistite dal sistema sanitario pubblico sono esenti, quasi il 25% per patologia, circa 20% per reddito, la percentuale residua per condizioni di invalidità riconosciute dalle leggi attuali. Il meccanismo della compartecipazione alla spesa sanitaria deve essere più equo. Ma è evidente che in questa fase economica bisogna stare attenti che eventuali contributi modulati diversamente non abbiamo una ricaduta negativa sul piano della prevenzione e dell’attenzione alle cure. Per non pagare i cittadini potrebbero rinunciare alla salute».
Le Regioni battono cassa. Reclamano un Fondo più generoso per la Sanità. Hanno speranza?
«Intanto assicuriamoci di poter lavorare senza scossoni con il fondo che già esiste. È indubbio che le Regioni siano state fortemente stressate dall’ultima revisione della spesa e che sia necessario trovare soluzioni in modo da dare la possibilità di operare al meglio, ottimizzando le risorse».
Il suo ministero negli ultimi anni ha avuto un atteggiamento subalterno rispetto all’Economia, più attento alla spesa che alla salute. Invertirete la rotta?
«In tutto il mondo è l’Economia che tiene i cordoni della borsa. Ognuno fa il suo mestiere. D’altra parte gli strumenti per agire in modo più efficace per garantire i Lea, cioè le prestazioni ritenute essenziali, esistono e vanno utilizzati. In ogni caso non abbiamo complessi di inferiorità. Ho trovato in Saccomanni un interlocutore sensibile ai problemi sociali. Non ci sono poliziotti buoni e cattivi, miriamo ambedue allo stesso obiettivo».
Lei però ha riorganizzato il suo Gabinetto con tecnici presi al ministero dell’Economia. Non è un segnale preciso?
«L’obiettivo è tradurre in linguaggio economico le scelte sulla salute. Dobbiamo fare proposte attuabili, basate sulla conoscenza e sulla concretezza. Solo così non saremo sudditi».
Il suo primo impegno appena nominata ministro è stato il decreto sulle staminali. La sperimentazione del metodo Stamina si farà?
«Noi siamo pronti a partire, come previsto, il 1° luglio. Ora tocca a Davide Vannoni, titolare del metodo, collaborare». (Margherita De Bac – Corriere della Sera)
3 giugno 2013