Comparto sanitario senza pace e casse dello stato di nuovo a rischio. Questo lo scenario che è possibile delineare a un anno esatto dall’entrata in vigore, per il settore sanitario, dell’obbligo delle 48 ore di lavoro a settimana e delle 11 ore di riposo consecutive. Regola, prevista già dalla direttiva Ue 88/2003 e che l’Italia mai aveva recepito fino alla legge 161/2014.
Dodici mesi, quindi, nel corso dei quali, quasi niente è cambiato e in cui i ricorsi da parte dei camici bianchi e non solo, sono andati ad aumentare. In base all’elaborazione dati che Consulcesi Group, la società leader nella difesa dei camici bianchi, è stata in grado di fornire a ItaliaOggi, sono più di 7.000 i ricorsi che, a oggi, sono stati presentati a causa dei «turni massacranti». Un numero destinato a crescere se letto alla luce, non solo degli importi ricavabili dai singoli ricorrenti (tra i 40 e gli 80 mila euro a caso) ma anche del fatto che solo la settimana scorsa le regioni hanno completato l’invio dei fabbisogni al ministero della salute. Una vera e propria mappatura che era stata richiesta agli enti territoriali, senza la quale anche la possibile assunzione di circa 3.000 medici prevista dalla legge di Stabilità 2016 non è stata possibile e che, adesso, potrà essere avviata solo dopo che il ministero dell’economia avrà dato l’autorizzazione a spendere le risorse stanziate per l’indizione di concorsi ad hoc.
«Il tutto», ha spiegato a ItaliaOggi il presidente della Cimo (il sindacato dei medici ospedalieri), Riccardo Cassi, «fermo restando che il 50% delle assunzioni dovrà riguardare la stabilizzazione di contratti a tempo determinato. Nel migliore dei casi, comunque, stiamo parlando ancora di mesi». I possibili incrementi di organico, però, se da un lato offrirebbero una maggior tranquillità ai camici bianchi e ai pazienti, dall’altro lato non metterebbero al sicuro le casse dello stato visto e considerato che il ritorno a un orario di lavoro regolare non farebbe comunque venire meno la validità dei ricorsi presentati alla luce delle irregolarità riscontrate tra il 2008 (l’anno della Legge collegata alla Finanziaria che escluse solo il personale sanitario dall’applicazione della direttiva Ue) e il 2015. Oltre alle migliaia di aventi diritto che si sono rivolti alla giustizia per il mancato rispetto della normativa è possibile che a questi si vadano ad aggiungere anche tutti coloro che fino a questo momento avevano atteso invano che regioni e governo accogliessero le loro istanze. Una platea di soggetti, quella coinvolta in questi anni, che potrebbe arrivare fino a 100 mila medici ospedalieri, per un totale compreso tra i 4 e i 6 miliardi di euro di possibili risarcimenti.
Cifra non da poco se ai ricorsi pendenti per medici ex specializzandi che potrebbero portare all’esborso di qualche altro mid di euro, nel caso in cui il testo, al vaglio del senato, che prevede un rimborso forfettario per i ricorrenti, non dovesse trovare accoglimento in tempi rapidi. E per reagire a tutto questo, il comparto sanitario si stava preparando a controbattere i continui rinvii contrattuali attraverso uno sciopero nazionale indetto per il 28 novembre. Iniziativa, però, bloccata dalla Commissione di garanzia dell’attuazione della legge sullo sciopero nei servizi pubblici essenziali che ha comunicato alle organizzazioni sindacali della dirigenza medica e sanitaria il divieto alla effettuazione dello sciopero di 24 ore a causa della vicinanza con un’altra astensione dal lavoro relativa ad altre categorie.
Italia Oggi – 25 novembre 2016