di Mario Sensini. La ministra Lorenzin torna all’attacco con il piano per scardinare il sistema dei ticket sanitari. L’idea di fondo è: bisogna far pagare un po’ di più i ricchi per garantire l’assistenza sanitaria ai più poveri. Per questo motivo una delle ipotesi allo studio prevede proprio l’addio ai ticket: si pagherà dunque per fasce di reddito.
Far pagare un po’ di più i ricchi per garantire l’assistenza sanitaria a tutti i più poveri. Il ministro della Salute, Beatrice Lorenzin, è pronta a tornare alla carica per scardinare il sistema dei ticket sanitari. Un meccanismo introdotto alla fine degli anni 80 dal governo De Mita per assicurare la compartecipazione dei cittadini alla spesa sanitaria pubblica che in quegli anni stava esplodendo, ma che oggi, tornato il sistema in equilibrio economico, secondo il ministro sta diventando un ostacolo insormontabile per l’accesso alle cure delle categorie più deboli della popolazione.
«I ticket valgono tre miliardi sui 113 del Fondo sanitario nazionale, c’è il margine per eliminare la tassa sulla salute» ripete la Lorenzin ai suoi collaboratori. Domani il ministro vedrà i governatori delle Regioni, che appoggiano senza riserve il suo piano. Purché, ovviamente, non si traduca in un aggravio della spesa a loro carico. Sul tavolo del ministero domani ci saranno dunque alcune ipotesi concrete di intervento, tutte in qualche modo “compensative”.
Nuove detrazioni
La prima, che rischia però di essere difficile da percorrere, sta a monte dei ticket, e riguarda la riforma delle detrazioni fiscali per i farmaci e le spese mediche. Oggi tutti i contribuenti possono detrarre dalle imposte versate il 19% di queste spese. Si potrebbe pensare di scalettare le aliquote in funzione del reddito personale, fino ad annullare la detrazione per i redditi oltre una certa soglia. Il risparmio che ne deriverebbe servirebbe per eliminare i ticket. Ma la detrazione ha anche un altro problema, perché taglia fuori gli incapienti, cioè chi non paga tasse o ne paga talmente poche da non poter beneficiare dello sconto fiscale. A meno di non trovare una forma per monetizzarle, la revisione delle detrazioni sembra complessa. L’altra strada, sempre a monte dei ticket, è quella di individuare una franchigia in base al reddito. Superata la franchigia (che sarebbe più alta per i redditi bassi e ridotta o annullata per quelli più alti) le prestazioni eccedenti sarebbero a pagamento.
Le soglie di esenzione
Altra ipotesi sul tavolo è quella di rivedere le soglie di esenzione, che valgono circa 8 miliardi di euro, spostandole verso le fasce più deboli, i poveri e gli anziani. Oggi sono esenti dai ticket su pronto soccorso e prestazioni specialistiche gli anziani con oltre 65 anni e un reddito non superiore a 35 mila euro (che potrebbe essere ridotto), i disoccupati e i loro familiari a carico con un reddito non superiore a 8.500 euro (che potrebbe essere aumentato), i titolari di pensione sociale e i pensionati al minimo oltre i 60 anni.
Tagli di spesa
Per finanziare l’eliminazione del ticket si considera infine l’ipotesi di avviare una nuova tornata, finalizzata, di revisione della spesa sanitaria. La responsabilità di manovra sarebbe delle singole regioni, che del resto amministrano autonomamente il ticket sulla spesa farmaceutica (quello statale non esiste più), sulle prestazioni specialistiche e sugli accessi al pronto soccorso, utilizzato per far quadrare i conti dei singoli sistemi regionali.
Con risultati un po’ discutibili, visto che il ticket pesa molto nelle regioni più ricche (32 euro l’anno di media a testa in Veneto e appena 8,2 euro in Sicilia). «Dobbiamo arrivare ad omogeneizzare il sistema su tutto il territorio nazionale» dice il coordinatore degli assessori regionali alla sanità, il piemontese Antonio Saitta.
Secondo i dati diffusi proprio ieri da Eurostat il 6,5% degli italiani (che oltre ai 3 miliardi di ticket ne spendono altri 40, privatamente, per la sanità) non riesce più a soddisfare i bisogni sanitari a causa dei costi troppo elevati: tra i Paesi della zona euro solo in Grecia sono messi peggio.
Leggi sul Corriere della Sera – 4 aprile 2017