Salvi i piccoli ospedali. Ma la riduzione dei posti letto ci sarà. Le Regioni dovranno attuarla «esclusivamente attraverso la soppressione di unità operative complesse». Così si chiamano oggi i vecchi primariati. Il decreto introduce un nuovo criterio. Niente tagli a pioggia, sparpagliati. Si procede per blocchi. Via i doppioni, reparti troppo vicini creati in certi casi più per interesse politico che sanitario. Di conseguenza andranno riviste «le dotazioni organiche». In pratica meno primari e dirigenti medici. Fino a quando l’obiettivo non sarà raggiunto è inoltre «sospeso il conferimento o il rinnovo di incarichi». Leggi anche “Arriva il taglio dei reparti“. Ecco il testo dell’art. 15 con tutte le misure per la sanità.
Massimo Cozza, segretario nazionale Cgil-Funzione pubblica prevede il sacrificio di 10 mila camici bianchi fra capi e collaboratori. L’articolo 15 del testo sulla spending review impone tempi brevi. Entro il 30 novembre bisogna adottare «provvedimenti di riduzione dello standard dei posti letto ospedalieri» a carico effettivo del servizio sanitario nazionale (esclusi quindi le strutture religiose e gli istituti di ricerca): 3,7 ogni mille abitanti. Ora siamo sul quattro. Per riabilitazione e lungodegenza lo standard però non deve scendere sotto lo 0,7 per mille abitanti. La stima è l’abolizione-riconversione di 18-20 mila posti.
Non è semplice calcolare quale sarà il contributo di ogni singola amministrazione. Dipende anche dal fenomeno della cosiddetta mobilità. Più una Regione ha capacità attrattive, accoglie cioè malati provenienti da altre zone d’Italia, più posti potrebbero essere mantenuti. I piccoli ospedali sotto i 120 letti però non restano del tutto estranei alla riorganizzazione. «Una norma complessa. Le Regioni sono comunque tenute a una verifica stringente sulla loro funzionalità», chiarisce il ministro della Salute, Renato Balduzzi.
Cambia il percorso di alcune cure. La tendenza è di evitare il più possibile il ricovero a favore di day hospital e, meglio, ambulatorio. Un risparmio per lo Stato, visto che un giorno in ospedale costa molto di più e richiede anche le spese del pasto. Esempio. Un intervento di cataratta o al tunnel carpale o un pacchetto di accertamenti diagnostici per la cefalea saranno spostati in ambulatorio con i rispettivi esami. Non si capisce ancora se il cittadino non esente, che con l’attuale sistema viene curato gratuitamente, dovrà pagare un ticket.
I medici annunciano una protesta forte. Cozza attacca: «Tagli insostenibili. L’affollamento ai pronto soccorso si aggraverà. Interi primariati soppressi». Per l’Anaao, associazione dei medici dirigenti, «è un colpo di grazia alla sanità pubblica, l’ennesima manovra ingiusta». Pessimista Giovanni Monchiero, presidente Fiaso, la federazione delle aziende sanitarie: «Il parametro del 3,7 per mille ci colloca a un livello di presunta virtuosità in Europa, ma non appare indolore specie quando il sistema dei ricoveri è carente»
Corriere della Sera – 7 luglio 2012