Tempi troppo lunghi, per le vittime del sangue infetto, per ottenere gli indennizzi. Ostacoli per la liquidazione dei risarcimenti. Assenza di ricorsi effettivi e violazione del diritto alla salute. La Corte europea dei diritti dell’uomo, con la sentenza D.A. e altri depositata ieri, torna a condannare l’Italia sul sangue infetto, dopo la pronuncia del 2009 con la quale aveva riconosciuto il diritto agli indennizzi.
Questa volta le somme dovute sono quantificate in dieci milioni di euro. A rivolgersi alla Corte, 889 vittime dirette e familiari di malati deceduti a causa di malattie contratte per trasfusioni di sangue infetto o utilizzo di emoderivati. Invece di avere cure mediche adeguate, i pazienti avevano contratto gravissime malattie per la contaminazione del sangue infetto, oggetto di numerose inchieste. E come se non bastasse, sul piano nazionale avevano incontrato ostacoli per far valere almeno il proprio diritto a un indennizzo. Di qui la scelta di rivolgersi a Strasburgo che ha dato ragione alla maggior parte dei ricorrenti. Prima di tutto la Corte europea ha ritenuto violato il diritto all’equo processo (articolo 6) nel quale rientra il diritto a ottenere in tempi rapidi l’esecuzione delle sentenze.
Se uno Stato – scrive Strasburgo – non esegue una sentenza definitiva a detrimento di una parte è chiara la violazione dell’articolo 6. I ritardi nell’esecuzione delle pronunce sugli indennizzi hanno impedito alle vittime di ottenere un effettivo ristoro. Così, l’indennizzo è rimasto solo sulla carta e questo – prosegue Strasburgo – senza alcuna giustificazione, per di più tenendo conto che si trattava di risarcimenti dovuti a malati. Violato anche l’articolo 1 del Protocollo n. 1 sul diritto di proprietà nel quale rientrano i crediti esigibili che lo Stato deve corrispondere senza poter avvalersi, a giustificazione dei ritardi, né della complessità delle procedure né di problemi di budget. Condanna, altresì, per violazione dell’articolo 13 che assicura il diritto alla tutela giurisdizionale effettiva e dell’articolo 2 sul diritto alla salute, per gli aspetti procedurali, perché lo Stato non ha fornito risposte adeguate e rapide tenendo conto che, in alcuni casi, il procedimento per ottenere un indennizzo è durato 12 anni per un solo grado di giudizio.
Solo su un punto la Corte dà ragione all’Italia. Per Strasburgo, infatti, la somma di 100mila euro fissata dall’articolo 27bis del Dl 90/2014, prevista per chi ha deciso di avvalersi di una procedura transattiva, è da considerarsi adeguata. Un riconoscimento sottolineato dal ministero della Salute in una nota nella quale si precisa che la norma salvata da Strasburgo è stata fortemente voluta dal ministro Beatrice Lorenzin.
Meno convinte le associazioni. Federconsumatori punta il dito contro la scarsa sicurezza e i rinvii nei risarcimenti. Un’accusa confermata dal presidente dell’Associazione politrasfusi Angelo Magrini il quale ha dichiarato che nessuno dei pazienti danneggiati dalle trasfusioni ha mai ricevuto i rimborsi previsti dallo Stato.
Marina Castellaneta Il Sole 24 Ore – 15 gennaio 2016