Un progetto. Le indicazioni su come costruire la strada e su dove farla andare, cioè nella direzione di una sanità in grado di occuparsi di tutti i cittadini, senza far pagare quelli più poveri. L’articolo 32 ha messo in campo anche il diritto all’assistenza sanitaria, che per molti anni è rimasto sulla carta (e oggi vacilla). Nel ‘48 solo una parte degli italiani, circa due terzi, aveva a disposizione servizi di assistenza: coloro che lavoravano ed erano iscritti alle mutue professionali o alle assicurazioni.
Chi era senza impiego non aveva da dormire agli accompagnatori, pagare treni, aerei e stanze. I dati delle schede di dimissione ospedaliere (sdo) da poco resi noti dal ministero alla Salute sono impietosi: in Italia l’anno scorso oltre 507mila persone (di più rispetto al 2015) si sono spostate alla ricerca di cure migliori. Tra l’altro i viaggi portano soldi nei territori dove l’assistenza è di più alto livello, perché le spese sanitarie dei cittadini sono a carico della Regione di residenza. Così le amministrazioni locali del Sud versano fondi che potrebbero investire per migliorare le loro accesso alle cure. La norma costituzionale ha trovato più completa attuazione nel ‘78, con la legge che ha istituito il sistema sanitario nazionale e obbligato lo Stato all’assistenza. La copertura è diventata davvero universale, e ai cittadini sani e benestanti sono stati richiesti i ticket, introdotti poco dopo. Ma ben presto si è iniziata a perdere l’omogeneità nazionale del servizio. Le varie Regioni, alle quali sono state attribuite sempre più competenze sanitarie, a partire dai primi anni Novanta hanno creato i loro sistemi sanitari. E oggi a mettere a rischio l’articolo 32 ci sono prima di tutto le differenze di qualità dell’assistenza tra un territorio e l’altro. In Italia non si è curati allo stesso modo dappertutto e i primi a saperlo sono i cittadini, che non hanno bisogno di analisi e studi più o meno accurati per sapere come stanno le cose. Il 40,7% dei malati calabresi che nel 2016 si sono dovuti ricoverare per un tumore hanno scelto l’ospedale di un’altra Regione. In Molise il dato è del 38,6%, in Basilicata del 28,6%, in Campania del 16,4%, in Sicilia del 12,4%. L’anno scorso la Lombardia ha visto arrivare da fuori quasi 17mila malati oncologici nei suoi ospedali, l’Emilia 6mila e la Toscana 4mila.
Spostarsi alla ricerca di una sanità migliore è pesante, bisogna spesso affrontare viaggi lunghi, trovare strutture a quelle del Centro-Nord, che consolidano la loro superiorità economica e organizzativa. L’anno scorso con questo sistema le Regioni hanno spostato un miliardo e 350milioni. Mentre al Sud si cerca di ridurre il distacco, ottenendo in certi casi risultati buoni, c’è chi lavora per far tornare il sistema delle mutue e soprattutto delle assicurazioni private, approfittando di un finanziamento del fondo sanitario nazionale che negli ultimi anni non è cresciuto abbastanza. Così, oltre ad avere 20 sanità regionali diverse, l’Italia rischia che il sistema pubblico ceda spazi a quello privato. (Michele Bocci)
SE IL CORPO È LA PERSONA SOFFRIRE È POLITICO
Roberto Esposito L’articolo 32 della Costituzione stabilisce il rapporto che, nel diritto alla salute, lega uguaglianza e libertà. Prima di tutto l’uguaglianza: la cura medica va assicurata a tutti, indipendentemente da età, sesso, provenienza. La salute è un bene indisponibile cui nessuno, in qualsiasi circostanza, può essere costretto a rinunciare per motivi economici, sociali, etnici. In questo senso quello alla salute viene definito non solo come un fondamentale diritto dell’individuo, ma anche come interesse della collettività. Perché una comunità risulti, nel suo complesso, sana, tutti i suoi cittadini devono potere aspirare ad esserlo. Questo nesso tra salute individuale e salute sociale è stato sempre dato per scontato. Ma oggi, quando il corpo umano, con tutti i suoi bisogni e fragilità, è posto al centro delle dinamiche politiche, il nodo tra salute privata e salute pubblica si è stretto ancora di più. È come se l’antica metafora dello Stato-corpo fosse uscita dal repertorio delle immagini per assumere un formidabile rilievo politico.
Da quel momento è caduta ogni distinzione formale tra la persona e il suo corpo vivente.
Il corpo di ciascuno di noi fa tutt’uno con la persona che esso incarna. Perciò va salvaguardato in ogni modo possibile dalla sofferenza. Ma – ecco il principio di libertà che fa eco, nell’articolo 32, a quello di uguaglianza – esso va sottratto anche alla sofferenza inutile che nasce da un accanimento terapeutico volto a trattenere vivo qualcosa che non è più tale, ma pura sopravvivenza biologica in assenza di ogni luce di vita.