Su 42mila manifestazioni “paesane” in Italia soltanto 15mila offrono prodotti autentici. E attenzione ai “finti” agriturismi: sono due su tre. Hanno dovuto alzarsi molto presto, gli uomini e le donne della Forestale. Alle 3 di notte erano già al Maap, il mercato ortofrutticolo all’ingrosso.
«Ecco, quelli sono i clienti da seguire». C’era stata una segnalazione: ci sono dei contadini che vendono i loro prodotti nei farmers market e in realtà comprano quasi tutto all’ingrosso. Quattro di loro sono pedinati, fotografati e filmati mentre acquistano cassette di frutta e verdura. «Poi, per ordine del sostituto procuratore Sergio Dini — raccontano al comando provinciale della Forestale, guidato da Paolo Zanetti — abbiamo perquisito le quattro aziende e lì abbiamo trovato le cassette svuotate e abbandonate perché portavano il nome del produttore. Frutta e verdura, al mattino, erano nei mercati “a chilometro zero” in piazza De Gasperi qui in città e nei farmers market di Vigodarzere, Cadoneghe e Cittadella. “Ecco le patate del mio campo”. “Noci, noci padovane, le più buone”. In realtà, le patate arrivavano dalla Francia e dall’Olanda, le noci dagli Stati Uniti. C’erano anche cavoli spagnoli, finocchi pugliesi e limoni della Calabria. Abbiamo denunciato i quattro contadini per frode in commercio, articolo 515 del codice penale. Dicendo che frutta e verdura arrivano dalle loro campagne i coltivatori praticamente non pagano l’Iva e sono esenti dall’Irpef. La pena prevista? Fino a 2 anni di reclusione o 2.065 euro di multa».
Con la Pasqua “sbocciano” in tutta Italia le bancarelle dei farmers market, si aprono le porte degli agriturismo, si apparecchiano i tavoli delle prime sagre. Tutti luoghi dove i “cittadini” vanno alla ricerca di prodotti genuini, pronti anche a pagare di più pur di ritrovare i sapori dell’infanzia. «È un mercato in forte crescita — dice Luciano Sbraga, responsabile del centro studi della Fipe, federazione italiana pubblici esercizi — perché offre qualità e salute. Ma bisogna stare attenti alle truffe. Credi di mangiare una lasagna “della nonna” e ti trovi nel piatto quella della Metro scongelata».
In un convegno a Imola, la Confcommercio dell’Emilia Romagna ha denunciato la concorrenza sleale che arriva da tanti fronti. «C’è chi si riempie la bocca — dice il direttore regionale Pietro Fantini — con la tradizione e poi pensa solo a fare soldi non rispettando le regole ». «In Italia — spiega Luciano Sbraga — ci sono circa 42.000 sagre — una media di 5 per ognuno degli 8.062 comuni italiani — che dovrebbero valorizzare i prodotti del territorio, che in Italia non sono più di 4.000. E allora ecco le tante sagre della birra, quelle del pesce azzurro in paesi a 100 chilometri dal mare o, addirittura, come avviene a Lanciano, la “Sagra del wurstel”, con la precisazione che si tratta di “wurstel originali importati dalla Germania e accompagnati da patate fritte”. Noi pensiamo che le sagre italiane legate a un cibo locale non siano più di 15-16mila. E queste sagre taroccate hanno un fatturato di 600 milioni all’anno, con concorrenza sleale verso ristoranti e trattorie che pagano stipendi e tasse». Anche per gli agriturismo bisogna saper scegliere. «In queste strutture ci sono circa 10.000 ristoranti. Quanti sono davvero legati a un’azienda agricola? Non più di uno su tre».
Ogni Regione, per la ristorazione in agriturismo, ha stabilito regole diverse. In Abruzzo il 60% delle materie prime deve essere prodotto in azienda, il 30% da altre aziende agricole locali e il 10% dal libero mercato. Nel Lazio le percentuali sono 35, 50 e 15%. In Emilia Romagna 35, 45 e 20%. In Toscana si dice soltanto che tutte le materie prime debbono essere prodotte nella regione. «Per noi i controlli — dice Toni De Amicis, direttore della fondazione Campagna amica legata alla Coldiretti — sono un toccasana. Sia per i farmers market che per gli agriturismo. Ben vengano Forestale, Finanza, carabinieri, ma siamo noi i primi controllori di noi stessi. Soltanto nel 2013 abbiamo fatto verifiche in 8.000 aziende».
Legati alla fondazione Campagna amica ci sono in Italia 1.000 farmers market, 7.000 fattorie con vendita diretta, 180 di Campagna in città. «In tutte queste realtà il coltivatore responsabile deve produrre il 51% di ciò che vende e può prendere il resto solo in altre aziende associate e controllate. Le multe sono salate. Si va dai 200 o 300 euro per chi mette sul banco insalata appassita o taglia un salume senza mettere i guanti e si arriva a 300.000 euro per chi spaccia per locale un prodotto arrivato dall’estero. In questo caso — e anche per chi vende prodotti manipolati dall’industria — c’è pure l’espulsione. Le pecore nere ci sono anche da noi, ma siamo riusciti a cacciarle prima della Forestale».
Campagna amica collabora con i Mercati della terra di Slow Food. «I Comuni — dice Toni De Amicis — ci chiedono spesso di partecipare a mercati con altri produttori. Quasi sempre rifiutiamo. Dietro i nostri banchi non mettiamo solo le nostre bandiere gialle ma anche la nostra faccia. E ci basta un colpo d’occhio per capire se le noci arrivano dalle nostre campagne o dagli Stati Uniti».
Repubblica – 25 aprile 2014