Nonostante la crisi dei palazzi della politica il ministro del Lavoro ha deciso di aprire la strada per la riforma dello Statuto dei lavoratori
La bozza del disegno di legge delega per la stesura di un nuovo testo unico della normativa in materia di lavoro è stata inviata alle parti sociali, cui viene ora affidato il compito di tradurre, con un avviso comune, la bozza in un vero e proprio testo da portare in Consiglio dei ministri.
La scelta di affidare alle parti l’onere di definire le linee guida per la riforma «non rappresenta un’abdicazione della politica ma una precisa assunzione di responsabilità», ha spiegato il ministro.
La bozza punta a razionalizzare e semplificare la normativa, un complesso di almeno mille atti e 15mila precetti e disposizioni che precedono o si sono stratificati nei 40 anni trascorsi dopo il varo dello Statuto dei lavoratori (legge 30/1970). Nel testo viene identificato un nucleo di diritti universali indisponibili per tutti i lavoratori dipendenti, compresi i collaboratori a progetto e le monocommittenze, fissati nella Costituzione e nella Carta fondamentale dei diritti Ue. C’è poi una seconda «area di tutele» affidata alla contrattazione e modulabile nelle aziende e nei territori con intese «in deroga alle norme di legge e valorizzando il ruolo degli organismi bilaterali».
Sacconi ha ricordato come, nel 1970, lo Statuto non venne votato dal Pci e dalla Cgil poiché allora si sosteneva «che il contratto è il mio Statuto». Oggi, in un contesto di bassa crescita economica e di estrema difficoltà a creare «maggiori e migliori posti di lavoro», quell’intuizione diviene strategica: solo le parti – ha insistito il ministro – possono e devono estendere i diritti dei lavoratori fuori da una logica conflittuale e antagonistica, non solo quelli presidiati da norma inderogabili ma anche quelli di «matrice promozionale, che li rendono adattabili ed esigibili a una realtà in costante movimento».
Il ministro ha voluto fare un collegamento tra questa riforma e le misure varate prima da Tiziano Treu e poi da Marco Biagi e che hanno portato, tra il 1992 e il 2007, alla creazione di oltre 3 milioni di nuovi posti di lavoro «in un contesto di crescita molto bassa». Questa riforma, ha aggiunto, altro non fa che completare quel percorso per favorire la competitività delle imprese e favorire la loro naturale propensione ad assumere e investire in modo stabile sulle persone».
Le prime reazioni sindacali alla mossa di Sacconi hanno confermato la divisione tra Cisl e Cgil. Raffaele Buonanni ha apprezzato la scelta di affidare alla parti sociali la regolazione del lavoro con un avviso comune che punti a «una migliore inclusione sociale, con particolare attenzione ai nuovi soggetti professionali presenti nel mercato del lavoro». Per la Cgil, invece, la richiesta di un avviso comune tra le parti «ha un unico evidente motivo: tentare di far saltare il tavolo di confronto aperto tra le parti sociali, introducendo elementi di divisione». Apprezzamenti, invece da Confindustria, «È importante – si legge in una nota – che le parti si impegnino ad individuare insieme le soluzioni migliori per favorire livelli di occupazione tutelati e garantiti, con l’obiettivo di ridurre la disoccupazione e migliorare le prospettive di crescita del paese».
Ilsole24ore.com
12 novembre 2010