Sarà il ballottaggio tra la democratica Nadia Romeo e il leghista Massimo Bergamin a stabilire chi sarà il nuovo sindaco di Rovigo. I due contendenti si presenteranno ai blocchi di partenza con un divario di circa cinque punti a vantaggio di Romeo. Un dato fotografato nella tarda serata di ieri quando, con 53 sezioni scrutinate su 56 e spoglio effettuato su 25.456 schede cioè il 93,60% delle 27.195 votate, l’esponente di Partito democratico (Pd), Partito socialista italiano (Psi), Rovigo cambia verso, Viva Rovigo si accreditava con 5.761 preferenze il 23,82% contro il 18,75%, equivalente a 4.535 voti, riconosciuto a Bergamin, in corsa con Lega Nord e Forza Italia (Fi).
Un risultato per entrambi al ribasso. Per Romeo un esito inferiore di quasi un punto rispetto al 24,52% ottenuto dalle sue quattro liste, pure peggio della Caporetto di Alessandra Moretti. Per fare un raffronto omogeneo, il Pd nel capoluogo ottiene alle regionali il 22,60%, al netto delle civiche collegate che portano la coalizione al 29,60. Alle amministrative, i Dem precipitano al 17,90% con una flessione quasi del 5%. I numeri diventano impietosi se si fa riferimento alle Europee di un anno fa, quando il Pd rodigino stappava lo champagne per un irripetibile 45,36%. Meglio aveva fatto perfino Federico Frigato nel 2011, all’epoca contestatissimo per essersi fermato al 26,51%. Tampona leggermente le perdite Viva Rovigo al 3%. Rovigo cambia verso e Psi si fermano, invece, al 2,22% e all’1,40%.
Bergamin sconta un divario ancora più pesante sulle regionali in cui in città Luca Zaia raccoglie il 40,70% e la Lega Nord, al netto delle civiche (su tutte la Lista Zaia, forte del 13,77%), il 16,94% contro il 14 delle comunali. Se si somma il dimezzamento di Fi ai minimi storici (7,53% per Palazzo Ferro Fini, 4,91% per Palazzo Nodari), l’asticella si ferma al 18,91%. All’appello, quindi, mancano più di 20 punti, tra sindaco e coalizione. Dati che gli osservatori più indulgenti attribuiscono alla forte frammentazione della tornata amministrativa, con 549 candidati consiglieri tra cui scegliere in 19 liste a supporto di 10 aspiranti sindaci. Diversa la lettura dei critici più salaci: i voti mancanti sarebbero la cartina al tornasole del poco appeal dei due candidati.
Di certo, hanno volato alto quelli che, alla vigilia del voto, erano ritenuti gli antagonisti più quotati nei rispettivi campi, ossia Silvia Menon e Paolo Avezzù che ottengono un risultato quasi fotocopia: 15,28% la prima, 15,49% il secondo.
Per la progressista Menon, sostenuta solo dalla propria civica, si è trattato di un autentico exploit. La lista «Silvia Menon sindaco» porta a casa il 15,24% dei voti, pescando abbondantemente nel bacino di riferimento di Romeo, ma pure «cannibalizzando» ampia parte del consenso di Giovanni Nalin, candidato sindaco di Sinistra ecologia libertà (Sel), fermo al 2,09% contro il 6,13% del 2011, parecchio voto grillino (il Movimento 5 Stelle sconta con Ivaldo Vernelli un gap del 2,59% rispetto al 12,70% di Jacopo Berti alle regionali) e qualcosa a Livio Ferrari che, a suo dire, si aspettava più di un 5,58%. La lista Menon con il 15,24% è la seconda forza elettorale in città, staccata di poco più di un paio di punti da un Partito democratico, mai così in basso e con un punto a proprio vantaggio su un Carroccio con il vento in poppa e con i consensi raddoppiati rispetto all’8,31% delle Europee.
Schema che vale anche per Avezzù, già sindaco tra il 2001 e il 2006 e dotato di un’esperienza politica ultratrentennale. Alle regionali la somma tra Area popolare (Ap) e Lista Tosi, perno dell’alleanza a sostegno dell’ex primo cittadino, si ferma all’8,23%, al netto delle civiche. Alle comunali si sfiora il 10%, con l’apporto importante della civica Obiettivo Rovigo che, al 5,3%, contribuisce in modo determinante e fa meglio del 4,38% di Ap e del 4,96% della Lista Tosi. Minimo l’apporto della lista giovanile Vero nuovo: 0,49%.
Nel centrodestra, tutt’altro che disprezzabile pare il risultato di Andrea Bimbatti. Anzi, l’ex assessore all’Urbanistica nella Giunta Piva, è raggiante nel constatare che «Una lista di risposte» segna il 4,65%, sovrapponibile al risultato di Fi, il suo ex partito, e a quello della Lista Tosi, comunque collegabile in modo chiaro a un candidato alle regionali. Al risultato, in parte, ha contribuito il voto di Fratelli d’Italia-An (1,68% alle regionali), sostenitrice esterna insieme a La Destra dello stesso Bimbatti.
Mantiene le posizioni Antonio Gianni Saccardin, ex vice di Piva, che con la sua Presenza cristiana ottiene il 3,44%, poco distante dal 3,68% segnato nel 2011. Di pura testimonianza il risultato di Federico Donegatti, in corsa con la bicicletta formata da Movimento sociale italiano-Fiamma tricolore (Msi-Ft) e Forza nuova (Fn), autore dello 0,74%.
Sul versante opposto, un’analisi ulteriore la merita il dato della sinistra radicale, punita dal rinnovarsi delle divisioni. Nel 2011 Sel aveva corso sempre con Nalin, ottendendo il 6,13%. Il Partito della rifondazione comunista (Prc), con il supporto di due civiche, aveva portato a casa il 5,03% con Matteo Masin. Sel, perde due terzi del consenso ed è al minimo storico del 2% (pur giovandosi del contributo del Partito comunista d’Italia), il Prc, scomparso dalla scheda elettorale, con il sostegno a Ferrari riesce a reggere solo grazie al consenso personale dello stesso Masin, promotore della civica Coscienza comune, che col 3,33% permette di avvicinarsi alla soglia che dovrebbe far scattare il seggio. Minimi gli apporti di La sinistra per l’altra Rovigo (1,19%) e Liberi cittadini (0,83%). Numeri in linea con la debacle delle regionali: 1,42 per Ven(e)to nuovo (rassemblement di Sel, Verdi, Sinistra Veneta, area «dissidente» del Prc) con Moretti e 1,22 per L’altro Veneto-Ora possiamo (Prc «ufficiale», Pcd’I, spezzoni ambientalisti) per Laura Di Lucia Coletti presidente della Regione.
Nicola Chiarini – Il Corriere del Veneto – 2 giugno 2015