Il Corriere del Veneto. I risultati dei test condotti sui pazienti contagiati nel reparto di Geriatria dell’ospedale di Rovigo, sono arrivati sulla scrivania del direttore generale dell’Usl, Antonio Compostella: «I virus isolati sono identici e mostrano le mutazioni del gruppo genetico individuato ad aprile e già descritto in Veneto».
Non si tratta delle varianti inglese, sudafricana o brasiliana. «Ma è comunque un ceppo ad alta aggressività», spiega il Dg. Lo dimostrano i numeri: il primo febbraio, su 34 pazienti solo due erano risultati positivi al tampone. Appena cinque giorni dopo, i contagiati erano 30 (quasi i 90% degli ospiti) oltre a cinque operatori: tre infermieri e due Oss. Nessuno degli anziani malati ha sviluppato febbre, difficoltà respiratorie o altri sintomi riconducibili al coronavirus ma, per fermare il focolaio, 27 di loro sono stati trasferiti al Covid-Hospital di Trecenta (dove due sono deceduti per le patologie pregresse), uno a Montagnana e due Rovigo (e lì si è registrato il terzo decesso).
Ma a far discutere, è il fatto che i cinque dipendenti risultati positivi, nei giorni precedenti avevano rifiutato di vaccinarsi. E non sono gli unici. Nel reparto di Geriatria, ci sono otto infermieri (su 24 totali) che hanno rinunciato alla profilassi e altrettanti operatori socio-sanitari sui dodici in servizio. Una percentuale altissima, all’interno di una Usl che deve anche fare i conti con 121 persone (su 3.050 dipendenti) che finora hanno detto no al vaccino: quattro medici, 59 infermieri, sei ostetriche, otto tecnici sanitari, 34 Oss, tre amministrativi e sette fisioterapisti.
Un fenomeno preoccupante, specie se riguarda chi ogni giorno entra ed esce da un reparto ad altissimo rischio, come quello di Geriatria, che ospita il target prediletto dal Covid 19. E così, mercoledì, Compostella ha inoltrato una lettera ai direttori di dipartimento chiedendo di fare una «ricognizione» tra il personale e di mettere nero su bianco chi non si è sottoposto a vaccinazione, distinguendo tra coloro che è mosso da «motivazioni oggettive» (magari perché affetti da malattie per le quali è controindicato) e «i non vaccinati per rifiuto», quelli cioè che rinunciano semplicemente perchè non vogliono o non si fidano del farmaco studiato per stimolare il sistema immunitario a produrre gli anticorpi.
«La normativa – spiega Compostella – lascia a ciascuno la libera scelta. Ma la Legge 81 sulla sicurezza sugli ambienti di lavoro, dice che anche il dipendente deve contribuire a evitare situazioni di pericolo. Quindi, chi rifiuterà la profilassi sarà convocato da un medico specializzato che, in assenza di un motivo valido, potrebbe giudicarlo temporaneamente non idoneo a svolgere le mansioni che finora gli sono state affidate. A quel punto cercheremo di trasferirlo ad altro incarico, anche se non sarà facile trovargli un lavoro che escluda il contatto con i pazienti. In assenza di una alternativa, scatterà la sospensione dal servizio». Tradotto: chi non si vaccina rischia di rimanere fuori dall’ospedale. E l’ultimatum sembra aver già aperto una breccia nel fronte dei «dissidenti», visto che in cinque avrebbero comunicato informalmente la disponibilità a farsi inoculare il siero.
«Non metto sotto processo la libertà di pensiero – assicura il Dg – ma devo pensare alla sicurezza di lavoratori e malati. Tutti i medici, gli infermieri e gli operatori dovrebbero capire che, prima ancora dei doveri contrattuali, c’è l’obbligo etico e deontologico di garantire i livelli di sicurezza più adeguati per se stessi e per le persone che assistono».
A dirla tutta, c’è pure un precedente mai emerso finora: nei mesi scorsi due infermieri dell’Usl polesana sono stati trasferiti «ad altra mansione» perché rifiutavano di indossare mascherine e dispositivi di protezione.
Pierluigi Dal Santo, il direttore dell’Unità Operativa di Geriatria, allarga le braccia: «Ho provato a parlare con i dipendenti che finora si sono opposti, è sconfortante non essere riuscito a convincerli dell’importanza di ciò che viene loro richiesto. E in mezzo a tutto questo, provo dolore nel vedere i miei pazienti trasferiti negli ospedali Covid…».
Dal fronte opposto, i sindacati ne fanno soprattutto una questione di metodo. «Non mettiamo in discussione l’importanza dei vaccini – spiega il segretario della Cgil Funziona Pubblica, Riccardo Mantovan – ma l’Usl ha sbagliato a scaricare le colpe sui lavoratori, dipingendoli come degli invasati senza alcun senso di responsabilità».
Ma allora cosa spinge infermieri e operatori, alcuni dei quali con decenni di esperienza alle spalle, a rifiutare un prodotto che le più importanti autorità del mondo hanno definito «sicuro»? Le storie sono diverse e sarebbe sbagliato bollare questi lavoratori come «no-vax», anche perché nessuno di loro si appella a teorie bislacche o a chissà quali complotti da parte delle case farmaceutiche.
In sette, ad esempio, hanno contratto il Covid nei mesi scorsi. Una ha raccontato la paura che un eventuale effetto collaterale del siero le possa farle rivivere le terribili sensazioni di quel periodo. Un’Oss cinquantenne, invece, ha spiegato di soffrire di allergie e di aver già manifestato reazioni avverse in occasione dell’anti-influenzale. Un infermiere, di circa trent’anni, confida di sentirsi già abbastanza al sicuro: «Uso tutti i dispositivi di protezione, perché dovrei correre il rischio di incappare nelle controindicazioni?». C’è anche un caso singolare: un infermiere cinquantenne si è presentato dal direttore del dipartimento pretendendo che firmasse un documento per attestare che «da qui a vent’anni» non avrebbe avuto alcun effetto collaterale.
Dal Santo non entra nello specifico ma parla genericamente di «paure irrazionali che, in alcuni, hanno innescato un rigetto, innanzitutto psicologico, dell’idea stessa del vaccino». E qui, Compostella snocciola un altro dato: «Delle 7.500 persone vaccinate nella nostra Usl, case di riposo comprese, solo 30 hanno comunicato effetti collaterali: cefalea, indolenzimento al braccio, brevi episodi febbrili e dolori articolari. Nulla di grave, quindi. Ma soprattutto nulla che giustifichi un rifiuto».