Un sorso d’acqua e via in ospedale. Il primo pensiero diretto a qualche manomissione della bottiglia; le indagini dei carabinieri che, invece, dimostrano l’esatto contrario ed escludono problemi nel confezionamento, affermando con certezza scientifica che l’inghippo era alla fonte: particelle di soda caustica contenute nell’acqua.
E quindi parte la causa civile, intentata da una donna di 31 anni di Porto Viro (Rovigo) alla Sanpellegrino, l’azienda lombarda produttrice dell’acqua, con l’avvocato Matteo Mion che chiede poco più di 6 mila euro come risarcimento dei danni morali e fisici. Perché la donna ora ha il 2% di invalidità, con danni permanenti al cavo orale provocati dalla soda caustica.
La prossima udienza è in programma il 17 novembre di fronte al giudice di pace di Rovigo, a distanza di 7 anni da quel sorso incriminato. Era infatti il 1. luglio del 2007 quando la donna, che all’epoca di anni ne aveva 25, aveva comprato in un supermercato di Porto Viro una confezione di acqua Levissima, etichetta del gruppo Sanpellegrino. Una volta a casa, aperta la bottiglia (le indagini stesse toglieranno poi ogni dubbio sul perfetto confezionamento della cassa d’acqua) ne aveva bevuto un bicchiere. C’era voluto poco perché la giovane sentisse un iniziale fastidio trasformarsi in forte bruciore all’esofago e allo stomaco, che si faceva sempre più intenso, fino a convincere la madre a portarla al pronto soccorso della casa di cura Madonna della Salute di Porto Viro. È lì che i medici le diagnosticano un avvelenamento e le prescrivono una cura antibiotica che, se da un lato la salva dall’intossicazione, dall’altra non riesce ad evitare i danni al cavo orale lasciati in eredità dall’acqua alla soda caustica. Lo stesso giorno, nel tardo pomeriggio, la famiglia della ragazza si rivolge anche ai carabinieri, che sequestrano la bottiglia e mettono nero su bianco nel verbale che la confezione era sigillata. Saranno poi le indagini della procura rodigina, che sul caso aveva aperto un fascicolo per avvelenamento di acque alimentari, a dimostrare come l’acqua uscita dallo stabilimento fosse già contaminata dalla soda caustica. Non solo, il consulente del pubblico ministero parla anche di una schiuma bianca visibile dall’esterno. Ed è questo che l’avvocato Matteo Mion scrive nel 2008 in una lettera spedita agli uffici milanesi della Sanpellegrino, con cui chiedeva il risarcimento del danno per quel 2% di invalidità provocato dal sorso d’acqua contaminato. Lettera che viene ignorata e costringe il legale a citare l’azienda in una causa civile di fronte al giudici di pace di Rovigo: «Il Codice del Consumo – spiega il legale – prevede la responsabilità assoluta del produttore per i danni causati dai difetti del suo prodotto. Anche perché è stato dimostrato che la bottiglia era intatta e quindi a causare il problema era stata l’acqua, imbottigliata quando era già contaminata».
Nicola Munaro – Corriere del Veneto – 12 settembre 2014