Lo dice con grandissima cautela, «ragionando per ipotesi» e ricorrendo alle arti diplomatiche. Ma il senso è chiaro.
«Io sono il leader di un partito politico che sostiene il governo – avverte Saverio Romano -. Con numeri diversi cambierebbe la maggioranza». I «numeri diversi» a cui il ministro dell’Agricoltura allude sono quelli di una eventuale sfiducia contro di lui. Un caso che nella storia italiana ha un solo precedente: Filippo Mancuso, l’ex Guardasigilli sfiduciato nel 1995 e morto nel maggio scorso a 88 anni.
Romano dunque non si dimette. E rilancia. Parla delle missioni che lo attendono tra la Cina e l’India e rivendica i risultati del suo primo semestre. Sulla sua testa pende come una spada la mozione di sfiducia ad personam eppure lui si dice «ottimista». La possibilità che la Camera voti le dimissioni non è «un evento nel novero delle cose possibili». L’ex centrista che un anno fa tagliò i ponti con Casini per entrare in maggioranza alla guida del Pid, quattro preziosi voti, è imputato per concorso in associazione mafiosa e rischia di essere rinviato a processo. E così convoca i giornalisti e chiede di essere giudicato per le sue azioni politiche.
La sfiducia presentata dal Pd e appoggiata da terzo polo e Idv sarà messa ai voti il 28 settembre. Romano non ha paura, nella manica sente di avere tre assi. Il primo è Berlusconi, che gli ha rinnovato «stima e fiducia». Il secondo è Bossi, il quale non lo ama però lo ha rassicurato sulla lealtà della Lega per bocca di Marco Reguzzoni: «Bocceremo la sfiducia». E il terzo asso è il regolamento della Camera. Il «verdetto» infatti non avverrà a scrutinio segreto, bensì a voto palese e per appello nominale, come per la fiducia al governo. È questa la differenza sostanziale con Marco Milanese, che ha scampato l’arresto per sei voti. Nel caso di Romano i deputati dovranno metterci la faccia, il che neutralizza i franchi tiratori.
Eppure il tema di un passo indietro «di responsabilità» non è tabù. Nei giorni scorsi tra i deputati di Pdl, Lega e «responsabili» la questione rimbalzava in questi termini: se lasciasse il posto, il governo avrebbe un (grosso) problema in meno. Non solo. La sua poltrona fa gola a tanti, la Lega ci ha rinunciato malvolentieri e certo non disdegnerebbe di ricollocarci uno dei suoi. Romano lo sa e, come è nel suo stile, ci scherza su: «Posso escludere che un ministero così ambito non possa essere accarezzato nei sogni di qualche parlamentare? Sta nelle cose. Ma la sfiducia è una cosa che non si realizzerà». Perché non lascia? «Mai nessuno mi ha chiesto di dimettermi, ho ricevuto solo incoraggiamenti».
Il libro intervista La mafia addosso , in cui spiega che i sospetti sui rapporti con Cosa nostra sono per lui «come una maglietta fradicia di sudore», è fresco di stampa. E adesso Romano, nei panni dell’avvocato di se stesso, prova a rafforzare la sua posizione con una dettagliata «relazione programmatica» sull’attività dell’Agricoltura dal 23 marzo al 23 settembre. Da quando è diventato ministro col disappunto del Quirinale (era già indagato), si è dato da fare per la terra ai giovani e l’etichettatura dei prodotti alimentari, il contrasto alle frodi e la pesca marittima, gli ogm e il tabacco italiano, il vino e i fondi comunitari… E ora, a colpi di dati e tabelle, conta di suffragare la sua tesi di fondo: «La sfiducia è una vicenda paradossale. Devo rispondere non per fatti inerenti a una attività politica, ma alla mia qualità di persona. E parliamo di vicende che risalgono a otto anni fa e che non possono inficiare l’attività svolta». Tra i fedelissimi di Romano c’è chi guarda con sospetto a Forza del Sud, ma lui smentisce: «Con Micciché ho un ottimo rapporto». La partita si giocherà sulle assenze. Alcuni leghisti potrebbero lasciare vuoti i loro scranni e così qualche esponente del Pdl, che già dovrà scontare la mancanza di Alfonso Papa (in carcere) e di Pietro Franzoso, gravemente infortunato. L’opposizione non ha i numeri, ma in giorni di tensioni fortissime nulla è scontato. Antonio Buonfiglio, uscito da Fli per entrare nel gruppo misto, ammette: «Non ho deciso». E Mimmo Scilipoti, che milita nel gruppo dei «responsabili» fondato proprio da Romano, prende tempo: «Giudicherò secondo coscienza, dopo aver letto il libro e le carte giudiziarie».
Corriere.it – 24 settembre 2011