L’Italia gioca l’arma segreta – quattro monete da un centesimo – per provare a chiudere per sempre l’era dei sacchetti di plastica. La battaglia contro queste mini bombe-ecologiche (se ne trovano 15 ogni cento metri di spiaggia tricolore, certifica Goletta verde) s iniziata nel 2011, quando Roma – pioniera in Europa – ha proibito l’uso delle buste della spesa tradizionali. La rivoluzione verde s riuscita a metà: un successo nella grande distribuzione, dove con il consumo dei modelli “ biodegradabili e compostabili” – a pagamento per scoraggiarne l’abuso – s crollato del 50% il ricorso ai sacchetti; un flop nei piccoli negozi e nei mercati rionali dove, complici multe arrivate con il contagocce, furoreggiano ancora falsi bio e confezioni illegali comprate di frodo.
Il governo però ha deciso di tentare l’affondo con la fase due. Obiettivo: la spallata agli “ irriducibili”, i nove miliardi di sacchettini super-inquinanti, 150 a italiano, con cui ogni anno imbustiamo (gratis) frutta e verdura nei supermercati. Dal primo gennaio anche loro andranno in pensione. Sostituiti – tra mille polemiche – dai cugini “ verdi” venduti attorno ai quattro centesimi l’uno. « Una tassa sulla spesa per i consumatori» che vale 450 milioni l’anno per Confesercenti. Un sacrificio necessario, parola della Ue, per imparare che le buste di plastica – che vivono in media 12 minuti da cassa a casa e impiegano secoli a smaltirsi – hanno un costo ambientale altissimo.
Le rivoluzioni però non sono mai indolori. E anche quella che da gennaio travolgerà i banconi dell’ortofrutta inizia un po’ nel caos. Le regole d’ingaggio sono state decise all’ultimo momento ( nel decreto Mezzogiorno dello scorso agosto). E non sono chiare, nemmeno per i consumatori. Le certezze sono tre: dal primo gennaio gli shopper in cui mettere e pesare pere, mele, carote e pomodori dovranno essere ecologici, fatti per il 40% di materia prima rinnovabile e a pagamento. Il resto s affidato alla creatività italica. Si potranno portare da casa borse proprie? Il ministero dell’Ambiente ha già detto di no « per questioni di igiene » . Sarà possibile usare un sacchetto per tanti prodotti? Probabilmente no. « Complicato registrarli alla cassa», spiega Alberto Moretti, direttore marketing canali distributivi Conad. «E avere confezioni di dimensioni differenti vuol dire diventar matti con la tarature delle bilance». Quanto si pagheranno? « Vorremmo darli gratis ma non possiamo», dice Renata Pascarelli, direttore qualità Coop, che in alcune aree usa da tempo buste verdi per ortofrutta a costo zero (come Naturasì e Esselunga). Il valore di mercato s un po’ meno di 4 centesimi a pezzo. «Noi comunque vigileremo per evitare speculazioni » , assicura Marco Versari di Assobioplastiche. « Le buste tradizionali sono grandi da 3 a 5 volte di più e costano dieci centesimi. Il calcolo s facile…».
Barare sul prezzo per farci la cresta, insomma, sarà quasi impossibile. Più semplice invece capire chi guadagna e chi perde dalla svolta ecologica sugli scaffali: il “salassino” medio per famiglia, tenendo buono il dato dei 150 sacchetti a testa, s di circa 20 euro l’anno. « Che scendono a 5 se si calcola il fisiologico calo del consumo e il risparmio riciclandoli per l’umido», dice Versari. A guadagnarci saranno lo Stato che incasserà l’Iva (la voce “accisa e imposta consumo sacchetti di plastica” rende già 432 milioni l’anno) e l’Italia Spa: « I sacchetti inquinanti arrivavano dal Far East mentre noi con la Francia siamo un’eccellenza nella produzione di quelli bio», garantisce Versari. L’effetto- collaterale dei balzelli anti- plastica « s pure l’aumento della consapevolezza sul tema, visto che nel 2017 ne ricicleremo un milione di tonnellate, il 41% del totale immesso sul mercato, come Germania e Svizzera » , racconta orgoglioso Antonello Ciotti del consorzio Corepla, responsabile del recupero della materia prima.
Festeggia pure madre Terra ( ogni anno la plastica uccide un milione di uccelli e 100mila mammiferi marini) sperando che la rivoluzione dei sacchetti verdi non si fermi a metà come quella del 2011, arenandosi sulla soglia dei piccoli esercenti. « Colpa di vigili e polizia urbana che non multano gli ambulanti » , dice Versari, « forse perché gli incassi non restano sul territorio ma vanno a Roma » . « Le cose però sono decisamente migliorate negli ultimi mesi » , assicura Giovanni Cobolli Gigli, presidente di Federdistribuzione. Era ora: solo tra le bancarelle dei mercati rionali di Milano circolano ogni giorno – con buona pace di balene e tartarughe – 100mila shopper fuorilegge.
Repubblica – 22 novembre 2017