Il Corriere della Sera. La catastrofe del coronavirus si sarebbe potuta evitare, non sarebbero morte oltre tre milioni di persone se un «cocktail tossico» di impreparazione, ritardi e scelte sbagliate nelle prime settimane del 2020 non avessero creato il «Momento Chernobyl» per il sistema sanitario mondiale. È questo il risultato del rapporto su «Preparazione e risposta alla pandemia» redatto da tredici personalità che erano state incaricate di indagare per conto dell’Oms, l’Organizzazione mondiale della sanità. E tra i principali responsabili di negligenza e impotenza c’è proprio l’Oms, assieme ai governi di Cina, Europa e Stati Uniti ai quali viene imputata «assenza di leadership politica globale aggravata da nazionalismi e tensioni geopolitiche».
Questo studio non prende in considerazione l’origine del virus che causa il Covid-19, ma osserva che dopo la sua comparsa, una serie di «anelli deboli in ogni snodo della catena di prevenzione e reazione» hanno portato il focolaio di Wuhan a diventare epidemia e poi pandemia. Il rapporto ricorda che le autorità cinesi tardarono a riconoscere che la malattia si trasmetteva tra persone, ma sottolinea che i medici a Wuhan furono veloci nell’individuare già a dicembre del 2019 il nuovo virus, notizie in materia erano state pubblicate dai media e l’informazione era arrivata con chiarezza anche all’Oms. Certo, ci furono errori e omissioni nella prima gestione in Cina, ma il 23 gennaio del 2020, quando il governo ordinò la gigantesca (per allora) quarantena a Wuhan, l’Organizzazione mondiale della sanità avrebbe dovuto dichiarare l’emergenza sanitaria internazionale. Invece passarono ancora giorni, fino al 30 gennaio. E solo l’11 marzo fu usato il termine «pandemia».
La lentezza dell’Oms è legata ad una serie di regole e procedure sanitarie anacronistiche. All’Organizzazione è richiesta «confidenzialità e una quantità di verifiche» prima di poter prendere una decisione. Altre procedure per proteggere i commerci hanno impedito di imporre tempestivamente restrizioni ai viaggi internazionali. Nei giorni persi, il coronavirus ha potuto volare e diffondersi: «Viviamo nel ventunesimo secolo ma ci siamo comportati come nel Medioevo», dice Helen Clark, ex premier neozelandese e copresidente del comitato d’inchiesta assieme alla ex presidentessa liberiana Ellen Johnson Sirleaf.
Ieri e oggi
La liberiana Sirleaf: «Gli scaffali sono pieni di dossier su precedenti che nessuno studia»
Già a fine gennaio i governi dei Paesi più sviluppati avevano comunque tutte le informazioni per comprendere la gravità del pericolo. E invece hanno «sprecato il mese di febbraio, alcuni Paesi hanno anche creato conseguenze mortali negando e svalutando le evidenze scientifiche», ha detto Clark e poi, quando a marzo il disastro era esploso, è partita «una pazza corsa per trovare mascherine, protezioni individuali e attrezzature mediche che è stata acuita dalla carenza di leadership globale». Sferzante il commento della signora Sirleaf: «Scaffali e archivi dell’Onu e delle capitali mondiali sono pieni di dossier su precedenti crisi sanitarie, nessuno li ha voluti studiare e prendere in considerazione, così siamo caduti in questa catastrofe».
Per evitare un’altra pandemia la raccomandazione è di costituire un «Consiglio globale sulle minacce sanitarie» sotto la guida dei capi di Stato, dare più poteri all’Oms perché possa investigare appena si abbiano avvisaglie di una nuova crisi e costituire un fondo di 50 o meglio 100 miliardi di dollari per gestire le prime fasi di un’emergenza con una potenza di fuoco adeguata. Sarebbero fondi ben spesi, dicono i tredici saggi della commissione, visto che il costo economico della pandemia alla fine del 2021 sarà arrivato a 10 mila miliardi di dollari e l’onda lunga della catastrofe porterà il conto totale per il mondo a 22 mila miliardi nel 2025.