Roberto Petrini. Sono quattro le sfide che i conti italiani dovranno affrontare nei prossimi mesi, in attesa di aprile quando con il giudizio della Commissione europea sulla flessibilità e il nuovo Documento di economia e finanza (Def), i nodi verranno al pettine: congiuntura; tenuta delle entrate; spending review; clausola di salvaguardia per scongiurare l’aumento Iva nel 2017.
Il tutto mentre il premier Renzi lavora ad una rete parallela della sinistra europea con Francia, Spagna, Portogallo e Austria per quello che a Palazzo Chigi definiscono “il contropiede” rispetto all’austerity.
La prima questione sui conti italiani emerge dalla correzione al rialzo delle stime Ue sul disavanzo: ha fissato il rapporto deficit- Pil al 2,5% contro il 2,4 stimato dal governo che comprende peraltro anche lo 0,2 dell’emendamento sicurezza-cultura oggetto del contendere con la Commissione europea.Se non si considera il pacchetto sicurezza-cultura resta un peggioramento dello 0,1%, che è dovuto sostanzialmente alla cattiva congiuntura economica. Il Winter forecast dei giorni scorsi infatti riduce le stime di crescita del governo, tarate su un Pil 2016 all’1,6%, a 1,4%. Il dato del Pil in termini nominali (cioè con l’aggiunta del tasso di inflazione stimato) previsto dalla Commissione scende dunque al 2,2 (cioè lo 0,4 in meno rispetto alle previsioni del governo che lo colloca al 2,6%). La caduta del Pil nominale abbatte le entrate (che si calcolano inflazione compresa) meno della metà per ogni punto: di conseguenza, siccome la caduta del Pil nominale è calcolata in 0,4 punti, le entrate scendono di circa un decimo e mezzo (0,16 punti), e tale è più o meno la crescita del deficit.
Tutto ciò è dovuto alla congiuntura internazionale: se peggiorasse (petrolio, Cina, caduta del commercio mondiale) e nell’eventualità che la crescita nominale fosse dell’1,5 in meno cioè solo dell’1,1% (0,8 di crescita reale come il 2015 e 0,3 di inflazione), il rapporto deficit-Pil potrebbe avvicinarsi al 3%, un incremento di sei decimi. Naturalmente l’ipotesi è solo sulla carta (il centro di ricerca Ref già dà tuttavia per il 2016 una crescita reale del Pil del solo 1%), ma questi sono i criteri in base ai quali bisognerà interpretare la congiuntura nei prossimi mesi. «I mercati ci dicono che quello che conta è la direzione del debito in rapporto al Pil, e nel 2016 quello italiano comincerà a scendere», ha detto ieri il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan, aggiungendo che «la spending review continua » e che «la lotta all’evasione sta dando risultati importanti». Proprio su questo punto però si aggiungono altri margini di rischio segnalati dal recente rapporto dell’Upb, l’autorità sui conti pubblici. L’incertezza riguarda i risparmi del patto sulla salute che «potrebbero non risultare del tutto conseguibili» sul piano di fattori spesa come i nuovi livelli di assistenza, i farmaci innovativi, i costi delle prestazioni e i contratti dei dipendenti. L’altro fattore di rischio, avverte il Focus, l’allargamento della platea delle possibili beneficiarie dell’opzione donna, cioè il pensionamento anticipato a fronte dell’adesione al ricalcolo dell’assegno con il metodo contributivo, potrebbe aumentare le spese. Infine le entrate previste dalle tasse extra sui giochi presentano criticità e il meccanismo potrebbe dar vita a contenziosi in grado di intaccare il gettito. Dubbi anche sull’aumento delle quote di ammortamento per gli investimenti: il costo potrebbe essere maggiore del previsto.
Se il 2016 presenta delle incognite, è però il 2017 che si annuncia critico. Le previsioni Ue stimano per il prossimo anno un deficit- Pil dell’1,5%, includendo l’aumento dell’Iva. Il governo, se vuole disinnescarlo come fatto quest’anno, e come dichiarato da Padoan, dovrà trovare risorse ulteriori per 15,1 miliardi. Intensificando una spending review che nel 2016, considerando i provvedimenti degli ultimi due anni, ha fruttato soli 1,5 miliardi.
Repubblica – 7 febbraio 2016