È a Milano che la nuova tassazione su depositi e conti correnti colpirà più forte: in media 14,60 euro all’anno per contribuente. I correntisti di Crotone, invece, se la caveranno con meno di 5 euro in più. Nel mezzo della classifica – elaborata in collaborazione con il Centro studi Sintesi – le altre province italiane, con una media di 10 euro.
Gli interessi su conti e depositi, però, sono solo una parte delle rendite finanziarie su cui dal 1? luglio scatterà l’aumento del prelievo dal 20 al 26 per cento. La stretta decisa dal Governo Renzi, infatti, colpirà anche le cedole delle obbligazioni, i dividendi delle azioni e i capital gain realizzati sulla vendita dei titoli. Mentre BoT e BTp manterranno l’aliquota al 12,5 per cento.
Piemonte ed Emilia al top
Per capire dove si abbatterà il rincaro, è indispensabile ricostruire la distribuzione del portafoglio dei risparmiatori italiani. Operazione al momento possibile solo a livello regionale. Considerando anche il prelievo sulle obbligazioni, sui pronti contro termine e sugli altri investimenti a reddito fisso, si scopre che i piemontesi sono quelli che pagheranno di più (34,30 euro in media all’anno), seguiti dagli emiliani (33,90 euro) e dai lombardi (33,70). Proprio i contribuenti della Lombardia, però, sono i più ricchi in termini di attività finanziarie secondo le segnalazioni di vigilanza della Banca d’Italia, con 41.570 euro pro capite. Come si spiega questa differenza? Tutto dipende dal mix del portafoglio, che per i lombardi ha la più alta incidenza di azioni e fondi d’investimento. Titoli soggetti alle fluttuazioni di Borsa e per i quali è difficile prevedere l’impatto medio della tassazione. Un contribuente lombardo che a luglio deciderà di vendere un pacchetto azionario con un valore di carico molto basso, pagherà il 26% su tutta la plusvalenza – e verserà ben più di 33,70 euro – a meno che non possa far valere delle minusvalenze realizzate anche negli anni precedenti. Insomma, il calcolo va necessariamente personalizzato.
I dati medi, però, sono utili a inquadrare la distribuzione di un aumento fiscale che – nel complesso – porterà alle casse pubbliche poco più di tre miliardi di euro all’anno. E che è stato introdotto per avviare un riequilibrio del prelievo tra lavoro e investimenti finanziari, oltre che per contribuire a coprire le minori entrate derivanti dal taglio dell’Irap deciso con lo stesso decreto legge 66/2014.
A livello medio, le regioni più povere sono anche quelle in cui la maggior parte del denaro posseduto dalle famiglie si ferma sui conti correnti, sui libretti postali e sui depositi a risparmio. Dall’Abruzzo alla Sardegna la percentuale non scende mai sotto il 60% e in Molise sfiora l’80%: come dire che, ogni 100 euro, solo 20 sono investiti in obbligazioni, azioni, fondi o titoli di Stato. Nelle regioni più ricche, invece, il rapporto tende a rovesciarsi. Il fenomeno ha una sua logica, perché chi ha pochi soldi può “permettersi” di investirne di meno. Ma non tutto si può spiegare con questa chiave di lettura: un elevato grado di liquidità potrebbe anche essere la spia di una maggiore diffusione dell’evasione fiscale.
L’esenzione allo studio
Di certo, la composizione del portafoglio condizionerà anche l’eventuale introduzione di una fascia di esenzione per i conti e i depositi fino a 25mila euro, proposta alla commissione Finanze del Senato. Di fatto, neppure le province più ricche hanno depositi medi oltre questa soglia e, tra quelle povere, ci sono grandi differenze derivanti anche dallo “stile di investimento”: basti pensare agli oltre 17mila euro di depositi pro capite a Isernia contro i 14mila di Teramo, in due regioni in cui il dato medio della ricchezza non è così distante. L’esenzione, insomma, potrebbe abbattere in modo piuttosto rilevante – e neppure troppo uniforme sul territorio – i 755 milioni di euro che la relazione tecnica stima come incasso dall’aumento del prelievo su queste voci.
Oltretutto, le somme presenti su conti e depositi sono in costante aumento, anche per effetto della crisi, che genera incertezza sulle forme di investimento e impone alle famiglie di avere una riserva di liquidità subito disponibile: tra il 2011 e il 2013 l’incremento medio nazionale dei depositi è stato del 10 per cento.
L’effetto su BoT e BTp
Un’ultima variabile che condiziona l’impatto dell’aliquota al 26% è l’investimento in titoli di Stato, le cui cedole eviteranno la stretta fiscale. Le regioni più ricche non hanno solo gli importi assoluti più alti, ma anche la maggiore incidenza percentuale: in Piemonte, Lombardia e Liguria oltre il 13% del portafoglio è investito in BoT e BTp. Mentre nelle aree più povere la percentuale si dimezza. Un po’ a sorpresa, tra le regioni con la minor presenza relativa di titoli di Stato ci sono anche il Veneto e il Trentino-Alto Adige, dove i contribuenti tendono a preferire altre forme di investimento e – soprattutto – depositi e conti correnti. La composizione della ricchezza finanziaria pro capite e il rincaro d’imposta sulle attività con un rendimento prestabilito (conti correnti, depositi, pronti contro termine e obbligazioni). I depositi bancari e postali medi per provincia aggiornati al 31 dicembre 2013, con il rincaro annuo derivante dall’aumento dal 20 al 26% della tassazione sui rendimenti.
Il Sole 24 Ore – 19 maggio 2014