Maurizio Tropeano. «L’aumento dell’8% delle esportazioni nei primi di cinque mesi del 2017 dimostra quanto l’Italia guadagna dall’internazionalizzazione. Per portare più Pmi a internazionalizzarsi dobbiamo concludere accordi commerciali come quello con il Canada ma allo stesso tempo dobbiamo tutelare i consumatori e i lavoratori con regole chiare e trasparenza sui prodotti commercializzati». È questa la chiave di lettura scelta dal ministro dello Sviluppo economico, Carlo Calenda, per spiegare il via libera al decreto che per un periodo sperimentale di due anni introduce in Italia l’obbligo dell’indicazione d’origine in etichetta per il grano da pasta ed il riso.
L’Italia ha scelto la strada del decreto, già adottata per la produzione di latte e formaggi, per spingere Bruxelles a dare piena attuazione al regolamento approvato nel 2011: «Chiediamo con ancora più forza all’Ue – spiega il ministro delle Politiche Agricole, Maurizio Martina – di fare scelte coraggiose, di dare ai cittadini e alle aziende risposte concrete. Tanto più davanti alla conclusione di accordi commerciali internazionali che rappresentano un’opportunità da cogliere e che dovranno essere accompagnati da scelte sempre più forti per la trasparenza».
Il decreto prevede che le confezioni di pasta secca prodotte in Italia dovranno avere obbligatoriamente indicate in etichetta le seguenti diciture: paese di coltivazione del grano, paese in cui il grano è stato macinato. Per quanto riguarda il riso, invece, è obbligatorio indicare paese di coltivazione del riso, stato di lavorazione e di confezionamento. Le indicazioni dovranno essere facilmente riconoscibili e chiaramente leggibili ed indelebili.
Il via libera al decreto è stato accolto con favore dalle principali organizzazioni agricole ma viene criticato dall’Associazione delle Industrie della Pasta italiane. Per il presidente Riccardo Felicetti «con la dicitura scelta si vuole far credere che la pasta italiana è solo quella fatta con il grano italiano o che la pasta è di buona qualità solo se viene prodotta utilizzando materia prima nazionale. Non è vero. L’origine da sola non è sinonimo di qualità». Per Giorgio Ferrero, assessore regionale del Piemonte che nelle scorse settimane aveva invitato la Gdo a promuovere la vendita di riso 100% made in Italy (la catena Carrefour è stata la prima ad aderire) «l’etichettatura del riso ci spinge ad accelerare il percorso verso la nuova Indicazione geografica».
La Stampa – 21 luglio 2017