Le Casse di previdenza dei professionisti, resta inserito nell’elenco Istat delle PA. Dovrà quindi versare una parte dei suoi “risparmi” all’erario, il 5% nel 2012 e il 10% nel 2013, come previsto dalla spending review per tutti gli enti pubblici. Ecco la sentenza. Pubblicata ieri la sentenza della sesta sezione del Consiglio di Stato che respinge, in sostanza, il ricorso avanzato dall’Adepp contro l’inserimento da parte dell’Istat delle Casse di previdenza dei professionisti nell’elenco delle Pubbliche Amministrazioni, ribaltando due precedenti sentenze del Tar. Questo vuol dire che gli Enti di previdenza dovranno sottostare alle norme previste dalla “spending review” per tutte le Pa, a cominciare dal previsto taglio dei cosiddetti “costi intermedi” che dovranno poi essere versati all’erario.
Si tratta di un’uscita secca, che ostacola l’obiettivo di garantire la previdenza dei professionisti.
Rischio stangata per gli enti previdenziali privatizzati. Il Consiglio di Stato li ha inseriti nell'”elenco Istat” della pubblica amministrazione a cui si fa riferimento anche per i tagli della spending review, imponendo il versamento dei risparmi allo Stato. Lo spiega il presidente dell’Adepp Andrea Camporese che annuncia ricorso alla Consulta. Il Consiglio di Stato ha deciso il solo inserimento degli enti pensionistici privati e privatizzati nell’elenco elaborato dall’Istat, che contiene tutte le amministrazioni pubbliche. Questa è la lista alla quale fa spesso riferimento il legislatore per l’applicazione delle norme delle amministrazioni pubbliche, ad esempio per la spending review che, tra l’altro, prevede un taglio dei cosiddetti “costi intermedi” del 5% nel 2012 e del 10% nel 2013, risparmi che vanno versati in un apposito capitolo dello Stato.
«La sentenza stabilisce solo l’inserimento delle Casse nell’elenco Istat, non decide sul resto – afferma Andrea Camporese che presiede l’associazione degli enti previdenziali privati -. Ma certo ora è concreto il rischio che si debbano effettuare i tagli che vanno versati allo Stato, senza alcun beneficio per i conti delle Casse private e privatizzate».
Per Camporese è una «una sentenza contraddittoria, che ci trova in totale dissenso, che si inserisce in modo non omogeneo nell’impianto normativo generale che sovraintende al sistema degli enti pensionistici privati e privatizzati». «È ovvio che le sentenze vanno rispettate – continua Camporese – ma è anche evidente che la battaglia giudiziaria in difesa del perimetro di autonomia non si può arrestare. Andremo in Corte Costituzionale a sostenere i nostri diritti sanciti dalle leggi di privatizzazione e percorreremo anche la via della Corte di Giustizia Europea. Da troppi anni sosteniamo la necessità di chiarire i confini della nostra responsabilità a tutela degli iscritti».
Nel merito il Consiglio di Stato ha ribaltato due sentenze del Tar favorevoli agli Enti di previdenza privati. Ma per l’Adepp sostenere, come fa il Consiglio di Stato, che le Casse conservano una funzione strettamente correlata all’interesse pubblico, costituendo la privatizzazione una innovazione di carattere essenzialmente organizzativo, confligge con l’attività di autogoverno chiaramente evidenziata nelle leggi di privatizzazione 509 e 103.
«Gli Enti deliberano su contributi e prestazioni, sugli investimenti, su una miriade di altri aspetti – continua Camporese – e proprio in virtù della loro ampia facoltà di determinazione vengono vigilati da innumerevoli soggetti, ministeri del Lavoro e dell’Economia in testa. Se il carattere pubblicistico della nostra attività è indiscutibile, l’associarci alla Pa crea una evidente contraddizione giuridica. La finalità statistica dell’elenco Istat non è mai stata in discussione, mentre è sempre più evidente l’utilizzo improprio fatto dal legislatore nel richiamare l’elenco con finalità diverse ed estranee».
L’assemblea dei presidenti aderenti all’Adepp non si è mai sottratta a un ragionamento sul bene e sul futuro del Paese. Gli interventi a sostegno del debito pubblico, dell’housing sociale, le stesse aperture verso strumenti economici concordati a sostegno della crescita sono stati ripetutamente sottovalutati.
«Applicarci la revisione della spesa pubblica, incidere nei contratti privatistici sottoscritti con le organizzazioni sindacali, prevedendo di versare allo Stato il risultato del risparmio, rischia di essere inefficace nelle quantità e controproducente nella gestione dei servizi, mentre noi restiamo dei grandi contributori dello Stato, attraverso livelli di tassazione unici in Europa, senza nulla chiedere in cambio».
A rischio il futuro pensionistico degli iscritti
La sentenza del Consiglio di Stato sull’inclusione delle Casse di previdenza dei professionisti nell’elenco Istat delle pubbliche amministrazioni produce effetti paradossali.
Il ragionamento del Consiglio di Stato può essere così sintetizzato: le Casse hanno un’organizzazione privata ma questo non incide sulla loro natura di enti pubblici. Peculiari sono l’obbligatorietà della contribuzione, un finanziamento pubblico indiretto, e il controllo da parte di ministeri e Corte dei conti.
Il problema non sarebbe tanto la qualificazione delle Casse come parte delle amministrazioni pubbliche, ma in questi termini l’assimilazione genera un corto circuito. Si parla di controllo pubblico, per esempio, mentre sulle Casse si esercita vigilanza (lo stato non ha voce nei consigli di amministrazione). Soprattutto non si può equiparare tout court la contribuzione obbligatoria con un finanziamento pubblico.
Le Casse sono destinatarie di un dovere di solidarietà come contribuenti, ma è esplicitamente escluso il contrario, almeno in termini di aiuti. Per questo le Casse devono essere messe in grado di assolvere al compito di gestire la previdenza dei professionisti con efficacia ed efficienza. Obbligarle a risparmiare come le pubbliche amministrazioni può avere un senso, ma – dopo la spending review – costringerle a versare alla tesoreria unica quanto risparmiato (o quanto si presume si debba risparmiare) assume il sapore della beffa. Si tratta, per le Casse, di un’uscita secca, che ostacola l’obiettivo di garantire la previdenza dei professionisti. È questo il guadagno che si aspetta lo Stato?
Il Sole 24 Ore – 30 novembre 2012