Quando, ieri mattina, si è reso conto che non ci sarebbe stato alcun processo, che non sarebbe arrivata alcuna condanna per lui, causa un’eccezione, Salvatore Cipolletta è scoppiato a piangere davanti al giudice.
Il 53enne, in carcere dalla sera dello scorso 15 ottobre, dopo che, all’apice di un litigio e in preda ai fumi dell’alcol, aveva freddato il genero con un proiettile al petto, si aspettava di conoscere la sua condanna. «Per lui doveva essere la fine del travaglio, invece così si prolunga solo l’agonia», ha spiegato il suo avvocato Elena Peron. Il processo è stato infatti rinviato: si terrà lunedì 17 marzo. L’assassino reoconfesso di Haidar Rohai Ahmed Al-Tawil, yemenita 28 anni, il genero appunto, deve rispondere di omicidio volontario aggravato dalla premeditazione e di porto d’armi. Sarà processato con il rito abbreviato – che garantisce lo sconto di pena di un terzo – dopo che il pubblico ministero Monica Mazza aveva chiesto per lui l’immediato: rischia tra i sedici e i diciotto anni, ma starà al giudice Stefano Furlani stabilire l’esatta pena tra due settimane. Data in cui si costituiranno parti civili, con l’avvocato Rachele Nicolin, la mamma e la sorella dello yemenita, che risiedono in Siria, e pure i due figlioletti della vittima, di cui è tutrice la madre, la vedova, Cristina Cipolletta, che però si è chiamata fuori dalla questione. Il risarcimento che verrà chiesto da ogni parte è banale ma vuole essere esclusivamente simbolico: si tratta di un euro a persona. Ieri, in udienza, c’era anche Cristina, che ha parlato col padre, che è anche andata a trovare una volta in carcere, ma per il quale sembra comunque ancora lontano il perdono. Per quanto lui continui a supplicarlo.
Tutto, quel maledetto giorno, era scaturito da una discussione a pranzo: Cipolletta aveva avuto da ridire col genero perché aveva costretto il figlio di 23 mesi, il nipotino, a presenziare al rito islamico del sacrificio di un agnello. La sera, ritornato in via Todeschini, il 53enne aveva attirato il giovane in strada con un sms, e, ubriaco, con un tasso alcolico quattro volte il limite consentito, gli aveva sparato in petto, uccidendolo. «Volevo intimorirlo, farmi rispettare» aveva spiegato poi Cipolletta, che si era piazzato in auto davanti al genero, rimanendo al posto di guida mentre l’altro era appoggiato alla portiera. Il suocero aveva sbottato «smettila o ti sparo», il 29enne aveva risposto sporgendosi nell’abitacolo e sferrandogli un pugno alle parole «tu non sei un uomo». Il più vecchio allora aveva aperto il fuoco con la calibro 22 ed era sgommato via, liberandosi per strada di cellulare e arma, fermandosi poi in un pub dove aveva confessato alla barista «ho ucciso il genero» e pregandola «chiama il 112».
Corriere del Veneto – 5 marzo 2014