Nella sentenza n.15707 del 25 marzo-9 luglio 2014, la Corte di Cassazione ha chiarito che nel caso in cui il lavoratore illegittimamente licenziato accetti la reintegrazione in servizio, proseguendo il suo rapporto di lavoro senza soluzione di continuità, non può chiedere la corresponsione del trattamento di fine rapporto contestualmente al risarcimento del danno. Nel caso in commento, la Corte di Appello di Potenza aveva respinto le domande proposte da alcuni lavoratori in merito alla determinazione delle somme ad essi spettanti a titolo di risarcimento del danno per gli illegittimi licenziamenti subiti dalla Rete Ferroviaria Italiana spa. Per mezzo della disposta Consulenza Tecnica d’Ufficio, la Corte del merito aveva determinato l’ammontare delle retribuzioni globali di fatto dovute a ciascuno dei ricorrenti
Detraendo dalle stesse quanto percepito dai lavoratori a titolo di indennità sostitutiva di preavviso, credito funzionalmente collegato al recesso e, come tale, costituente indebito oggettivo in seguito alla riattivazione della funzionalità del rapporto.
La Corte territoriale, inoltre, aveva eliso da qualsivoglia esame la domanda di condanna al pagamento del TFR, perché logicamente estranea ai giudizi di impugnativa dei licenziamenti introdotti in primo grado dinanzi al Tribunale di Foggia e. quindi, non compresa nel thema decidendum del giudizio di rinvio, nel quale non può farsi rientrare la determinazione del risarcimento di danni ulteriori che non trovino la loro causa nella pronuncia di condanna al pagamento delle retribuzioni globali di fatto, maturate dalle date dei licenziamenti a quelle dell’effettiva reintegra degli interessati.
Contro questa sentenza, i lavoratori avevano adito la Cassazione, contestando il mancato accoglimento della richiesta volta al pagamento del trattamento di fine rapporto.
In particolare, i ricorrenti avevano rilevato come, dagli atti, fosse desumibile che gli stessi avessero riportato e conteggiato specificamente i ratei di TFR, da ciascuno maturati nei periodi rispettivamente considerati, già nei loro conteggi prodotti e contenuti nei ricorsi in riassunzione dinanzi alla Corte d’appello di Potenza, affermando la ricomprensione di tali ratei nella determinazione degli importi da rivendicati.
Tale argomentazione, inoltre, era stata reiterata nel corso delle molteplici udienze di trattazione celebrate dinanzi alla suddetta Corte territoriale, tanto che il primo dei due CTU ivi nominati era stato officiato anche della determinazione degli importi dovuti per il TFR.
A detta dei ricorrenti, poiché al trattamento di fine rapporto viene comunemente riconosciuta la natura di retribuzione differita, tale emolumento dovrebbe essere incluso nella retribuzione globale di fatto, che viene determinata facendo riferimento all’insieme di tutte le voci retributive che il lavoratore avrebbe regolarmente percepito in costanza di rapporto se non fosse stato illegittimamente licenziato.
Da ciò, conseguirebbe che la determinazione delle somme dovute a ciascuno dei lavoratori per il TFR non potevano risultare estranee al thema decidendum del giudizio di rinvio, in quanto comprese nella quantificazione delle retribuzioni globali di fatto degli interessati, alla quale il Giudice di rinvio avrebbe dovuto procedere in applicazione del principio di diritto richiamato nella premessa.
Investita della questione, la Suprema Corte ha rigettato il ricorso.
Richiamando la giurisprudenza di legittimità (1), la Suprema Corte ha ricordato che, essendo l’esigibilità del TFR correlata all’estinzione del rapporto, sussiste un nesso di alternatività tra la pronuncia di perdurante sussistenza del rapporto di lavoro o di annullamento del licenziamento e quella di condanna al pagamento del trattamento suddetto, costituendo il primo accertamento un antecedente logico giuridico rispetto alla domanda relativa al pagamento dell’indennità di fine rapporto, non configurabile nel caso in cui risulti o debba stabilirsi la continuazione del rapporto di lavoro.
Nella specie, la sentenza impugnata aveva correttamente enunciato il principio di diritto in base al quale l’ammontare delle somme percepite a titolo di pensione non può essere oggetto di compensazione ovvero di detrazione dall’ammontare del risarcimento del danno per licenziamento illegittimo.
Conseguentemente, in esatta applicazione di tale principio, la Corte potentina, tramite apposita CTU, aveva determinato l’ammontare delle retribuzioni globali di fatto dovute a ciascuno dei ricorrenti, escludendo dal computo le somme percepite a titolo di pensione.
Il Giudice di appello, con congrua e logica motivazione, aveva, altresì, sottratto da qualsivoglia esame le domande di condanna al pagamento del TFR, ritenendole, logicamente estranee ai giudizi di impugnativa dei licenziamenti introdotti in primo grado dinanzi al Tribunale di Foggia e, quindi, non attinenti al thema decidendum della fase di rinvio del giudizio.
In particolare, la sentenza impugnata aveva precisato che nel suddetto thema decidendum non poteva farsi rientrare la determinazione del risarcimento di danni ulteriori che non trovassero la loro causa nella pronuncia di condanna al pagamento delle retribuzioni globali di fatto, maturate dalle date del licenziamento a quelle dell’effettiva reintegra degli interessati.
Si tratta di una statuizione che risulta del tutto conforme al richiamato principio, oltre che a quelli generali che governano il giudizio di rinvio e, pertanto, la Cassazione ha ritenuto che, sul punto, la sentenza non meritasse alcuna censura.
Valerio Pollastrini – http://valeriopollastrini.blogspot.it/ – 20 luglio 2014
(1) Cass., Sentenza n.21029 del 2 novembre 2004; Cass., Sentenza n.8861 del 14 agosto 1991; Cass., Sentenza n.1049 del 3 febbraio 1998; Cass., Sentenza n.10942 del 18 agosto 2000; Cass., Sentenza n.3563 del 12 marzo 2001; Cass., Sentenza n.4551 del 28 marzo 2002; Cass., Sentenza n.7143 del 16 maggio 2002; Cass., Sentenza n.3865 del 15 febbraio 2008; Cass., Sentenza n.15869 del 20 settembre 2012;