Il premier Giuseppe Conte ha incontrato le associazioni del volontariato e ha promesso di correggere l’abolizione dell’Ires agevolata (che quindi è salita dal 12 al 24%) disposta dalla legge di Bilancio. «In attesa dell’entrata in vigore della riforma del Codice del Terzo settore, il governo, nelle prossime settimane, metterà in piedi un regime fiscale agevolato transitorio per le attività degli enti non profit», dice una nota di Palazzo Chigi. L’incontro è stato giudicato «positivo e costruttivo» da Claudia Fiaschi, portavoce del Forum del Terzo settore, che però avverte: «Restiamo in attesa dei dettagli dell’azione correttiva». Il governo infatti non ha chiarito se ripristinerà semplicemente l’Ires al 12% (dovrebbe trovare una copertura di 118 milioni quest’anno e di 158 dal 2020 in poi) o se farà una manovra più articolata.
Intanto, slitta alla prossima settimana (forse al consiglio dei ministri di venerdì 18) il decreto legge su «quota 100» e il «reddito di cittadinanza». Colpa delle crescenti tensioni tra 5 Stelle e Lega e del ritardo con cui il ministero del Lavoro ha messo a punto la bozza. Che quindi è stata esaminata nel preconsiglio dei ministri senza la relazione della Ragioneria generale. Questo documento è indispensabile perché certifica che i conti tornino. Operazione complessa per un provvedimento che riguarda almeno due milioni di soggetti (1,7 milioni le famiglie interessate al reddito di cittadinanza e oltre 300 mila i lavoratori che dovrebbero andare in pensione prima) e molte categorie di soggetti destinatari degli stanziamenti: dai lavoratori con 62 anni d’età e 38 di contributi (quelli che appunto potranno andare via) ai centri per l’impiego, dai poveri ai disabili. A complicare il quadro è arrivata poi la richiesta della Lega di aumentare le pensioni per gli inabili al lavoro (che oggi prendono intorno a 285 euro) e il reddito di cittadinanza per le famiglie più numerose (nella bozza il tetto dei 780 euro al mese per un single sale fino a 1.330 euro per una famiglia con tre figli ma poi non aumenta più se c’è un numero maggiore di figli).
Ovviamente accogliere queste richieste significa ammettere più persone al sussidio, col conseguente aumento della spesa. Il che fa crescere la probabilità che scatti la clausola prevista nello stesso decreto per blindare le uscite. La clausola prevede infatti che nel caso in cui, in corso d’anno, sulla base delle domande di reddito di cittadinanza accolte, si prefiguri una spesa superiore agli stanziamenti (6 miliardi per il 2019), il governo debba rimodulare verso il basso l’importo del reddito così da evitare che le uscite superino le disponibilità. Secondo i 5 Stelle questo rischio non esiste perché si sarebbero recuperati circa 140 milioni (400 nel triennio) dopo aver ristretto di fatto il sussidio ai soli italiani. Rispetto alle bozze iniziali, infatti, si prevede che il reddito possa andare solo a chi ha la residenza in Italia da almeno 10 anni (prima erano 5). Queste disponibilità sono però insufficienti, secondo la Lega, ad aumentare le pensioni d’inabilità (o in alternativa a facilitare l’accesso degli inabili al reddito di cittadinanza) e il sussidio per le famiglie più numerose.
Ma è evidente che il nodo è politico e riguarda il peggioramento dei rapporti tra gli alleati di governo. Senza trascurare, infine, la partita delle nomine. Nel decreto si prevede la riforma della governance di Inps e Inail con la reintroduzione dei consigli di amministrazione (saranno scelti tra dirigenti della pubblica amministrazione, dice la bozza). Il primo appuntamento riguarda la sostituzione del presidente dell’Inps, Tito Boeri, il cui mandato scade a febbraio. I 5 Stelle hanno un loro candidato: Pasquale Tridico, l’economista «padre» dello stesso reddito di cittadinanza. Questa nomina si intreccia però con quella per la presidenza della Consob, l’autorità che vigila sulla Borsa. Anche qui i grillini hanno avanzato un nome, quello di Marcello Minenna. Ma la Lega non è disposta a cedere entrambe le poltrone.
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