Il primo terreno della trattativa riguarda ancora prevalentemente il Pd: modalità di elezione del presidente della Repubblica. Il secondo terreno si allarga ai presidenti di Regione e all’opposizione,in particolare al recordman degli emendamenti Roberto Calderoli: il Titolo V.
Già, perché nonostante la mole di emendamenti calderoliani rimasti in piedi dopo la scure di Pietro Grasso (quelli presentati in Commissione dall’esponente leghista sono 380mila, tolti i 120mila relativi all’articolo 1 e 2 che lo stesso Calderoli ha già ritirato la scorsa settimana) i contatti con la maggioranza non si sono mai interrotti in questi giorni. D’altra parte – dopo l’accordo sul comma 5 dell’articolo 2 recepito in un dei tre emendamenti presentati dai capigruppo della maggioranza – alcune questioni sono state lasciate appositamente in sospeso dal per trovare nel corso dell’iter un accordo il più ampio possibile.
La minoranza del Pd, soddisfatta della soluzione trovata per collegare l’elezione dei futuri senatori alla “scelta” degli elettori nell’ambito delle elezioni regionali, sta concentrando la sua attenzione sulla questione dell’allargamento della platea per eleggere il presidente della Repubblica: una Camera di 630 deputati eletta con un forte premio di maggioranza – è il ragionamento dei senatori della minoranza dem – non compensa un Senato delle Autonomie di soli 100 membri, con il rischio che il Capo dello Stato venga scelto, di fatto, dal governo. Da qui la richiesta di allargare la platea dei grandi elettori: aggiungendo ai membri di Camera e Senato 200 sindaci scelti dal Consiglio delle Autonomie locali o ripristinando i rappres entanti regionali previsti dall’attuale Costituzione («All’elezione partecipano tre delegati per ogni Regione eletti dal Consiglio regionale in modo che sia assicurata la rappresentanza delle minoranze. La Valle d’Aosta ha un solo delegato»). C’è poi il nodo del quorum: il testo modificato dalla Camera prevede l’alto quorum di tre quinti, ma non degli aventi diritto bensì dei votanti. Per ovviare al rischio che il Capo dello Stato possa essere eletto da una minoranza del Parlamento si può prevedere, ad esempio, che il presidente della Repubblica non può in ogni caso essere eletto da meno della maggioranza assoluta degli aventi diritto. Oppure, è l’altra ipotesi, si può tornare su questo punto al testo del Senato, che prevedeva la maggioranza assoluta dopo l’ottavo scrutinio.
La seconda questione aperta riguarda il Titolo V. E non è solo la Lega a volere più poteri per le Regioni, ma anche gli stessi governatori del Pd a partire da Sergio Chiamparino. Lo Stato dovrebbe esercitare un potere sostitutivo «laddove i livelli di prestazione definiti dallo Stato vengano negati ma le Regioni che dimostrino di essere in grado di assumersi più responsabilità e finanziarle, possano farlo», ha avuto modo di dire il governatore del Piemonte e presidente delle Regioni nella sua audizione in prima commissione. La maggioranza sta appunto ragionando su un rafforzamento dell’articolo 116 della Costituzione, che già prevede il federalismo differenziato (le regioni più “virtuose” possono chiedere più poteri) ma sembra ormai tramontata l’ipotesi di ritoccare l’articolo 117 per riportare in capo alle Regioni alcune materie. D’altra parte la ratio della riscrittura del Titolo V, condivisa da tutto il Pd, è proprio il ritorno alla centralizzazione di alcune grandi materie (reti infrastrutturali, ad esempio) e il superamento della legislazione concorrente.
Emilia Patta – Il Sole 24 Ore – 30 settembre 2015