di Filippo Tosatto, dal Mattino di Padova. Concepita come la pietra miliare della legislatura regionale, la riforma della sanità versione Luca Zaia si è trasformata in una babele che lacera la Lega, contrappone i gruppi politici e paralizza i lavori dell’assemblea veneta. Il fatidico accorpamento delle Ulss – seconda tranche della manovra dopo la faticosa approvazione della nuova governance Azienda Zero – diventa terreno di scontro tra lobby territoriali e proconsoli del Carroccio e la linea annunciata dal governatore in campagna elettorale – ridurre le aziende sanitarie da 21 a 7, assegnandone salomonicamente una per provincia – ha ceduto ben presto alle pressioni della maggioranza. Cosi, l’assemblea-fiume dei consiglieri leghisti con Zaia, tra parole grosse e richiami all’unità, è culminata in una correzione di rotta: alle 7 Uiss se ne aggiungeranno 2, la Pedemontana bassanese e il Veneto orientale con le sue spiagge.
Tributi alla specificità territoriale, sostengono i proponenti; regali elettorali, ribattono gli awersari. Ad aggrovigliare la matassa, ci hanno pensato i tosiani; sensibili al feudo di consensi del sindaco di Verona, hanno chiesto una terza deroga in favore del bacino del Garda: «Se il criterio è quello turistico, che noi condividiamo, è impensabile ignorare il lago con i suoi 11,6 milioni di presenze». L’obiezione, condivisa dall’intera opposizione, ha aperto una crepa nel leghismo veronese; immediato il veto dell’assessore alla sanità Luca Coletto: «Personalmente manterrei l’accorpamento a 7 e in ogni caso sono assolutamente favorevole all’unicità dell’Ulss di Verona, tanto più in presenza di un’Azienda ospedaliera-universitaria»; di tutt’altro avviso il consigliere Alessandro Montagnoli: «L’Ulss provinciale avrebbe un bacino di utenti smisurato, non a caso tutti i sindaci della Bassa Veronese chiedono il raddoppio», ha dichiarato in aula; come dire: il veto anti-Tosi rischia di tradursi in un boomerang.
Non basta. Sul fronte delle 7 «senza eccezioni» c’è anche Fabrizio Boron, il presidente della commissione sanità, ma i suoi tentativi, come quelli di Zaia, si sono scontrati con la tenace difesa della “piccola patria” da parte dei bassanesi – in primis il capogruppo Nicola Finco (che ha minacciato le dimissioni) e l’assessore Manuela Lanzarin – e degli alfieri di San Dona di Piave, forti del sostegno del vice zaiano Gianluca Forcolin. E i padovani? Fin qui hanno fatto scena muta ma se la rivale scaligera la spuntasse, non esiterebbero a chiedere la par condicio. Conclusione? Mentre i direttori generali- commissari nominati nelle sette Ulss capoluogo si guardano intomo smarriti, l’opposizione – Pd, M5S, Lista Tosi – proseguirà l’ostruzionismo in aula, martellando con centinaia di emendamenti il progetto di legge.
«Abbiamo chiesto alla maggioranza un parametro razionale, prospettando tre opzioni: le sette Ulss provinciali, le 7+3 con deroga per le zone ad elevati flussi turistici, il 10+2 con raddoppio nelle cinque province maggiori. Ci è stata riproposta una soluzione pasticciata, figlia degli scontri interni alla Lega, che riteniamo inaccettabile», commenta il dem Claudio Sinigaglia.
«La nostra sanità è nelle mani delle lobby di maggioranza che stanno sbranando la carcassa di quello che era il fiore all’occhiello del Veneto, senza badare ai bisogni dei cittadini», rincara il penta stellato Jacopo Berti. Mercoledì, allora, alla ripresa dei lavori d’aula si profila l’ennesimo stallo mentre stanchezza e nervi tesi affiorano anche tra le file del governatore, criticato sottovoce – ed è la prima volta – da qualche consigliere leghista, deluso dall’assenza di regia nella gestione della riforma. «Noi abbiamo stravinto, loro hanno straperso, andiamo avanti compatti», è la parola d’ordine di Zaia alla truppa mentre dalla chat interna al gruppone arriva la consegna del silenzio. Basterà?
Il Mattino di Padova – 12 settembre 2016