“Le 21 Ulss attuali saranno accorpate in 9, una per provincia più le “deroghe” riservate alla Pedemontana bassanese e al Veneto Orientale. Nessun’altra opzione, dalla “decima” ipotizzata per il Garda al raddoppio delle aziende sanitarie nelle province più popolose, sarà presa in considerazione dalla maggioranza forzaleghista che governa la Regione”. Questa è, come scrive Filippo Tosatto sulla Nuova Venezia, “la rotta tracciata da Luca Zaia a conclusione di una serie di colloqui con i capigruppo del centrodestra e ha il tenore di una scelta definitiva: esaurita (senza esiti apprezzabili) la fase delle trattative sotterranee, il via libera agli articoli decisivi della riforma potrebbe giungere entro la settimana grazie al “canguro” taglia-emendamenti – contestatissimo dall’opposizione ma ammesso dal presidente Roberto Ciambetti – capace di vanificare la battaglia ostruzionistica congiunta di Pd, M5S e Lista Tosi.
È quando si apprende a Palazzo Ferro-Fini alla vigilia della nuova tornata consiliare che avrà inizio domani per concludersi, probabilmente, giovedì sera. Il braccio di ferro – meglio, la sterile maratona verbale che inchioda il Consiglio da giugno – ha evidenti risvolti politici ma è destinato soprattutto a influenzare la riorganizzazione del sistema sociosanitario con la nuova governance Azienda Zero che accentrerà ogni competenza extramedicale (appalti, acquisti, personale, logistica, attività legali, formazione) consentendo alle Ulss – tale almeno è l’obiettivo – di concentrare le energie sulla mission decisiva, quella di assicurare ai veneti standard adeguati di prevenzione e cura.
Un passo indietro. Il programma elettorale di Zaia prevedeva un’unità locale per provincia (soluzione non lontana dalle 8 indicate dalla sfidante dem Alessandra Moretti), perché il numero è lievitato a 9? «L’ampio bacino che fa capo a San Donà di Piave, lontanissimo dal capoluogo, attira quindici milioni di turisti l’anno ed è esposto a migrazioni di pazienti verso Treviso e Pordenone», replica il governatore leghista, che riconosce analoghe peculiarità a Bassano: «È anch’essa una meta turistica, molto gelosa della sua diversità identitaria rispetto a Vicenza, ha un bacino ragguadervole ed è già stata penalizzata dalla perdita del tribunale». Ben diversa la lettura dell’opposizione: «Regali elettorali dettati dalla pressione delle lobby leghiste sul territorio, manca un criterio oggettivo nella programmazione», ribatte Claudio Sinigaglia (Pd) che si dice «scandalizzato» dell’assenza totale di Zaia dal dibattito in aula. «Se i parametri sono quelli dell’utenza e dei flussi, allora chiediamo un’Ulss per il Garda che supera gli 11 milioni di presenze», rilancia il tosiano Andrea Bassi. Un’obiezione che si scontra con il veto dell’assessore veronese alla sanità Luca Coletto; quest’ultimo, attaccato da più parti, pur ribadendo la personale contrarietà all’ipotesi gardesana, ha rimesso la scelta finale nelle mani di Zaia che infine ha deciso per il no, convinto che un “raddoppio” in favore di Verona avrebbe scatenato analoghe aspettative e richieste da parte di Padova, l’altro polo della sanità regionale in costante rivalità con la città scaligera. A ben guardare, è lo stesso scoglio sul quale sono naufragate le trattative con l’opposizione: l’ultima “offerta” di mediazione alludeva alla facoltà del Consiglio, di approvare l’istituzione di nuove Ulss in futuro qualora le rispettive conferenze dei sindaci, a maggioranza assoluta, ne facessero richiesta. Una mina vagante che il governatore ha deciso di disinnescare, convinto – è il ritornello – che «ai veneti non importa il numero di uffici ma la qualità e la tempestività delle cure ospedaliere». E saranno proprio queste, esaurite le schermaglie in politichese del Palazzo, il vero banco di prova della riforma”.
tratto dalla nuova Venezia (fonte Vicenzapiù) – 3 ottobre 2016