Dopo la consueta pausa di Ferragosto, è ripreso ieri il confronto in consiglio regionale sulla riforma della sanità, incentrata sulla creazione dell’Azienda Zero e la riduzione delle Ulss da 21 a 9. Il clima a Palazzo Ferro Fini comincia a farsi piuttosto pesante, siamo alla diciannovesima seduta (e oggi si riparte con la ventesima) e sebbene alcuni consiglieri d’opposizione siano tornati ritemprati dalle ferie e particolarmente agguerriti, l’assemblea nel suo complesso appare sfiancata da una discussione che ormai verte quasi esclusivamente sul taglio delle Ulss. La maggioranza, com’è ovvio, punta a chiudere finalmente la riforma indicata dal governatore Luca Zaia come il provvedimento più importante della legislatura. Ma il taglio delle Ulss è questione urticante che tira in ballo il territorio, o meglio, i collegi elettorali degli amministratori regionali, tutt’altro che fulminei nei processi decisionali ma ipersensibili all’onda dei consensi.
Il punto di partenza è l’impegno contenuto nel programma elettorale del governatore: 7 unità sanitarie per altrettante province – rispetto alle attuali 21 – più l’lov e le Aziende ospedaliere di Padova e Verona. Il gruppo leghista, tuttavia, ci ha messo la zampino, pressando Zaia perché prevedesse due eccezioni alla regola dell’accorpamento su base provinciale: la prima in favore di Bassano del Grappa, l’altra nel Veneto Orientale; bacini di voti importanti per il Cartoccio, dove la folta rappresentenza bassanese include il capogruppo Nicola Finco e quella di San Donà-Portogruaro-Jesolo annovera il vice zaiano Gianluca Forcolin. Lobby territoriali, appunto.
Entrambe le proposte traballano sia sul piano gestionale che sul versante finanziario, ma la circostanza non sembra turbare i fautori nè lo stesso Zaia, che assiste silente al dibattito, malcelando il fastidio per le lungaggini in aula. Sull’altro fronte, il Pd concorda sulla riduzione – Alessandra Moretti, alle regionali, ne ha proposte 8 preservando quella di Feltre – ma chiede garanzie “accessorie” che investono la medicina diffusa, i ticket, le rette, la riforma delle Ipab. Diversa la posizione dei tosiani: ostili in partenza alla riduzione, ora, per voce di Maurizio Conte, lanciano una sorta ai autant: sette Ulss bloccate oppure 10 con il raddoppio nel Veronese, bloccato però dall’assessore (scaligero) alla sanità Luca Coletto, fin qui irriducibile nel “no”. Ieri la questione è stata affrontata in termini generali, con le dichiarazioni d’intenti dei vari gruppi. «La sanità a due o più velocità non va bene, ci vuole un’efficienza uguale per tutti i cittadini veneti. Da nove mesi è attiva una sperimentazione su base provinciale con i direttori-commissari e già si notano squilibri», le parole del dem Claudio Sinigaglia, cui ha fatto eco la capogruppo Moretti auspicando una «soluzione condivisa» previa confronto con i sindaci. «Parliamo di flussi, di servizi, di integrazione tra ospedali, non di steccati», l’appello del centrista Marino Zorzato. «Cerchiamo un punto d’equilibrio, pena la sconfitta per tutti noi e per il Veneto», l’intervento di Sergio Berlato (Fratelli d’Italia).
Morale della favola? Oggi si riprende in aula ma i giochi veri sono affidati al chiarimento in seno alla maggioranza forzaleghista e alla trattativa – lontana da occhi indiscreti – con l’opposizione. Il M5S si tira sdegnosamente fuori: «Non parteciperemo al mercato delle vacche in cerca di poltrone dirigenziali e primariati», fa sapere Jacopo Berti; e lo speaker Simone Scarabel cita uno studio universitario di Ca’ Foscari che fissa in 400 mila abitanti il bacino ottimale delle Uiss: «Questa presudoriforma, invece prevede un’utenza più che doppia a Treviso, Padova e Verona in barba ad ogni criterio scientifico. Da un anno sollecitiamo informazioni sui flussi di pazienti e la situazione epidemiologica, non abbiamo visto nulla».
I tosiani iInsistono sul fatto che la riforma contenga anche delle misure «extra materia» nei confronti delle Ipab, tese in particolare alla riduzione delle rette a carico delle famiglie e al loro allineamento con quelle del privato, ma soprattutto col veronese Andrea Bassi continuano a battere sulla creazione di una decima Usl, ribattezzata «gardesana». Perché, chiede polemicamente Bassi, Zaia ha acconsentito a superare il modello di una Usl per provincia aprendo a Bassano e al Veneto Orientale? Il governatore ha già spiegato che la prima è sostanzialmente la «capitale» della Pedemontana mentre la seconda è l’area delle spiagge e deve assorbire l’urto dei turisti ma Bassi non ci sta e rimarca che anche il Garda è area turistica e la provincia di Verona è certamente più grande e popolosa di Vicenza, che pure ha goduto dello spacchettamento di Bassano. Ha finito per nascerne una querelle ai limiti del personale con l’assessore alla Sanità (veronese pure lui) Luca Coletto, che pretende di tener fede all’impegno elettorale ed ora tutti attendono di capire da che parte si schiererà il Pd, i cui numeri sono indispensabili per permettere a Bassi di continuare nell’ostruzionismo.
“La sanità a due o più velocità non va bene, ci vuole un’efficienza uguale per tutti i cittadini veneti. Sono ormai nove mesi che abbiamo la sperimentazione su base provinciale, ci sono degli squilibri che si notano già, è necessario intervenire entrando nel merito – hanno ribadito a più riprese durante la discussione in aula i consiglieri del Pd – I principi per formare le nuove Ulss devono essere omogenei: si possono scegliere quelli provinciali oppure basarsi sui flussi d’accesso o ancora sul numero di abitanti. Ma la scelta non può invece rispondere a logiche di spartizioni politiche interne alla Giunta”
“Manca trasparenza, ci vogliono criteri chiari, validi per l’intera regione, che stiamo aspettando da oltre un anno. È una questione di forma e sostanza, da affrontare con intelligenza. Può decidere il Consiglio quante devono essere le Ulss – chiede provocatoriamente Sinigaglia – o ha già deciso Zaia quando ha nominato i commissari”?
Tratto dal Mattino di Padova e dal Corriere del Veneto – 31 agosto 2016