Per un pugno di anime, la futura Usl scaligera non può nemmeno accampare la pretesa di essere «la più popolosa» del Veneto, lamentando così un handicap da sanare al più presto. Solo diecimila abitanti la separano da quella di Padova, che vive una condizione speculare: una nuova, grande, realtà sanitaria da quasi un milione di assistiti ma, allo stesso tempo, la presenza di un’azienda ospedaliera cittadina con cui dividere i compiti.
Eppure, all’indomani del via libera del consiglio regionale all’Azienda zero, ultimo step di quella riforma che vede il taglio delle Usl, ora diventate nove, il malcontento nel Veronese è di gran lunga maggiore che altrove, Padovano compreso. Ed è «geograficamente» trasversale.
L’Alto Garda
Zona montana e tagliata fuori dai pronto soccorso: il più vicino è quello di Negrar, presso il Sacro Cuore Don Calabria, struttura privata – accreditata, ma scomoda per la parte nord del lago. Per gli abitanti di Malcesine e Brenzone «tocca» rivolgersi a Riva, sponda trentina, gli altri gardesani devono scendere fino a Peschiera, dove c’è la casa di cura Pederzoli (anch’essa privata) che viene privilegiata anche dagli operatori del 118 rispetto all’unico pronto soccorso in funzione tra gli ospedali territoriali, quello di Bussolengo. Non essendo stato attivato un punto di primo soccorso a Caprino (era una delle ipotesi), si è passati alla soluzione tampone che prevedeva un’automedica per urgenze attiva nello stesso paese: la sperimentazione è durata dal 5 agosto al 30 settembre. Il servizio non è mai stato rinnovato e ora l’auto è parcheggiata nel piazzale dell’ospedale, sempre a Bussolengo. Una situazione che è stata segnalata anche a Palazzo Ferro Fini dal consigliere tosiano Andrea Bassi che sulla riorganizzazione delle Usl ora dice: «È stata portava avanti esclusivamente secondo le logiche dei gruppi di potere interni alla maggioranza».
Il polo «a due gambe»
Sempre nella parte occidentale della provincia, quella coperta dall’Usl 22 di Bussolengo, c’è la questione irrisolta del polo «a due gambe». Due ospedali complementari, l’Orlandi e il Magalini di Villafranca, il primo clinico, il secondo chirurgico, almeno secondo quanto recitano le schede regionali del 2013. Il futuro per le due strutture è nebuloso. La ristrutturazione del Magalini, attesa dall’incendio del 2003, è in ritardo cronico, mentre Bussolengo teme di essere «spogliato» delle sue specialità. La trovata di un’Usl «turistica» (sul modello di quanto realizzato nel Veneto orientale) avrebbe consentito di mantenere l’ospedale, ma mettendo a rischio diversi reparti per acuti.
La Bassa
C’è anche il sud della Provincia a «sentirsi» abbandonato. Nella zona resta un solo ospedale per acuti, il Mater Salutis di Legnago, ma i sindaci ne denunciano la spoliazione. Sono «scomparsi» i primari di geriatria e di anatomia patologica, dopo due pensionamenti. Il centro trasfusionale che doveva essere punto di riferimento provinciale è finito per essere subordinato a Verona. E ci sono anche gli interrogativi ex ospedali di Zevio e di Bovolone. Ecco perché i primi cittadini avrebbero voluto (con tanto di documento mandato a Venezia) tagliare in due la provincia con un Usl «meridionale» che comprendesse anche San Bonifacio e Villafranca. «Andremo per vie legali – fa sapere Clara Scapin, sindaco di Legnago – non è escluso un ricorso al Tar». Potrebbe essere il primo di molti.
Ospedali di comunità
Bloccati a Verona, dove una delle strutture di destinazione (Casa Loro dell’Istituto di Assistenza Anziani) addirittura è stata riconvertita per accogliere gli ospiti della casa di riposo di Grezzana, che verrà chiusa per rischio sismico. Nella Bassa dovevano partire a Bovolone a Nogara e Zevio, ma sono stati attivati solo tre posti letto su 60. A Bussolengo non si è nemmeno iniziato. Al coro delle voci critiche si aggiunge Orietta Salemi, consigliere regionale del Pd: «Verona è stata penalizzata e il suo territorio verrà marginalizzato».
Davide Orsato Il Corriere del Veneto – 21 ottobre 2016