Dovrebbe essere fissato a tre anni, anche non continuativi, il periodo minimo dei rapporti di lavoro precari con la Pa che permetterà di entrare nel nuovo piano straordinario di assunzioni. La precisazione è entrata nelle ultime bozze circolate ieri del decreto legislativo sul pubblico impiego, attuativo della riforma Madia, che sarà oggi pomeriggio sul tavolo dell’incontro con le sigle sindacali (tra cui Cosmed). E proprio la convocazione per l’informativa, premessa necessaria per la prima approvazione del decreto, conferma l’intenzione del governo di esaminare in prima lettura il testo nel consiglio dei ministri di venerdì. La riforma poggia su due pilastri. Il primo è la riscrittura del testo unico del pubblico impiego, con il «piano triennale dei fabbisogni di personale» che supera il meccanismo attuale degli organici, la previsione di vincoli al turn over differenziati a seconda dei servizi dei vari enti e la revisione del codice disciplinare, con l’estensione a tutti i casi di flagranza dei licenziamenti «sprint» in 30 giorni oggi previsti per le false timbrature.
Il secondo pilastro è rappresentato invece dal ripensamento della legge Brunetta sui premi di produttività, con l’obiettivo di affidare ai contratti le regole di distribuzione degli incentivi in base agli obiettivi generali fissati dalla Funzione pubblica e a quelli specifici individuati da ogni ente.
Nei limiti del piano triennale del fabbisogno rientreranno anche le assunzioni dei precari storici, che potranno essere dirette per chi ha già superato un concorso mentre per gli altri andranno gestite con quote riservate nelle selezioni: l’ipotesi, in questo caso, è che i posti riservati siano almeno il 50% del totale. Il meccanismo, se le ultime bozze saranno confermate, potrà imbarcare chi negli ultimi anni ha in curriculum almeno un triennio di servizio con la Pa: nel conto non entrano i contratti negli uffici di diretta collaborazione e negli staff degli enti locali.
Per far posto alle assunzioni dei precari saranno aggiustati anche i vincoli finanziari specifici, senza sforare i tetti generali alla spesa di personale fissati dal decreto 78 del 2010, e sarà prevista una deroga al blocco del reclutamento negli enti locali che non rispettano l’obbligo di pareggio di bilancio.
L’obiettivo è naturalmente quello di superare il precariato, che riguarda almeno 100mila persone e si concentra soprattutto in sanità ed enti locali. Per evitare che si creino nuove sacche di precari, poi, si prevedono due misure: il blocco di tutte le assunzioni flessibili nelle amministrazioni interessate dalle assunzioni straordinarie e lo stop generalizzato alle co.co.co che nella Pa hanno resistito fino a oggi.
Quello in consiglio dei ministri, comunque, è il primo passaggio di un decreto che avrà bisogno dei pareri parlamentari e del consiglio di Stato e soprattutto dell’intesa con gli enti territoriali. Una partita, quest’ultima, che non appare ancora scontata. (Gianni Trovati – Il Sole 24 Ore – 15 febbraio 2017)
Pubblico impiego, assunzioni precari e premi esentasse
Le ultime limature sono state fatte fino alla tarda serata di ieri. L’intenzione è quella di arrivare ad un accordo di massima con i sindacati già oggi, quando ben 13 sigle che rappresentano i lavoratori del pubblico impiego sono state convocate dal ministro della Funzione pubblica Marianna Madia. I nodi sui quali si è discusso fino a ieri, riguardavano un tema che sta cuore soprattutto ai sindacati e che riguarda il rapporto tra la legge ed il contratto. Cgil, Cisl e Uil hanno ottenuto che quanto verrà scritto nel prossimo contratto di lavoro, quello che secondo i patti con il governo porterà ad un aumento medio mensile di 85 euro per i 3,2 milioni di lavoratori pubblici, potranno se necessario derogare a tutte le norme presenti e future contenute nei testi di legge. La contrattazione, insomma, avrà ampi spazi. E soprattutto impedirà che le «gabbie» della legge Brunetta, quelle che prevedono che i premi non possano essere distribuiti a pioggia, ma erogati in base a fasce di merito, non entreranno in vigore. Anche la distribuzione degli incentivi sarà quindi materia del contratto.
LA PARIFICAZIONE I sindacati hanno anche chiesto di condividere con il governo obiettivi e riorganizzazioni della macchina pubblica. In questo modo si avrebbe una parificazione nel lavoro pubblico, di quanto già avviene nel lavoro privato. Questo comporterebbe la possibilità di poter accedere alla fiscalità di vantaggio per i premi di risultato e per il salario accessorio. Oggi, infatti, nel privato la parte variabile della retribuzione è detassata con un’aliquota fissa del 10%, mentre i premi erogati sotto forma di welfare sono del tutto esentasse. Principi che potrebbero essere ripresi, sempre che si trovino le risorse per finanziarli, nel prossimo contratto di lavoro degli statali. Le norme contenute nella riforma del pubblico impiego, contengono numerose altre novità. Come il superamento del precariato all’interno della pubblica amministrazione. Il testo lancia un piano straordinario di stabilizzazione, che sarà operativo fino al 2018 e che permetterà l’ingresso nei ranghi del pubblico impiego per chi ha avuto contratti precari per almeno tre anni. Nei concorsi avranno riservato il 50% dei posti
Molto hanno fatto discutere le regole inserite nel provvedimento che il ministro Madia vorrebbe portare in consiglio dei ministri già venerdì, le nuove regole sui licenziamenti. Oltre a quelle già previste dalle regole attuali, se ne aggiungerebbero di nuove, come quella per i dirigenti che non avviano i procedimenti disciplinari per i proprio sottoposti colti in flagrante a timbrare il cartellino e a marinare il lavoro. Ma anche per chi viola le regole dei codici di comportamento, magari accettando qualche strenna più costosa del dovuto. Fino a ieri, invece, ancora si discuteva dei licenziamenti per scarso rendimento.
LE GABBIE I sindacati hanno contestato ai tecnici del ministero, che le norme proposte fanno ancora riferimento alle norme della Brunetta che obbligano a non erogare premi al 25% dei dipendenti con giudizi peggiori. Non esistendo più quelle gabbie, bisognerà trovare un altro modo per sanzionare i fannulloni. Così come ancora aperta è la discussione sulla partecipazione dei cittadini alla valutazione delle performance delle amministrazioni. Performance alle quali sono legati anche i premi. Un capitolo riguarda poi l’assenteismo. Le visite fiscali passeranno dalle Asl all’Inps, che armonizzerà a 7 ore l’orario dei controlli, e che potrà organizzare anche verifiche «continuative» e «sistematiche» per cogliere magari in fallo chi si assenta ogni lunedì o durante i ponti. I contratti poi, dovranno prevedere che i fondi per il salario accessorio non potranno essere aumentati per quelle amministrazioni che hanno tassi più elevati di assenteismo. (Il Messaggero – 15 febbraio 2017)
15 febbraio 2017