Limato l’elenco delle società, da Invimit ad Anas, che eviteranno i limiti alle partecipazioni o gli obblighi di dismissione previsti dagli articoli 4 e 5 del decreto. Tutti gli amministratori delle società partecipate potranno essere chiamati dalla Corte dei conti a risarcire il danno erariale creato dalle loro scelte che, ovviamente per dolo o colpa grave, colpiscono l’azienda o l’ente socio.
Lo prevede l’ultima versione del testo unico sulle partecipate, uno degli undici decreti attuativi che ieri hanno assunto una veste definitiva e sono pronti a partire per il loro iter fra conferenza Unificata, Consiglio di Stato e commissioni parlamentari.
Quello dedicato alle società partecipate, insieme alla riforma parallela sui servizi pubblici locali, sono stati i testi che hanno impegnato di più gli uffici del Governo nel lavoro di limatura e coordinamento normativo, mentre altri provvedimenti, dalla conferenza dei servizi al codice dell’amministrazione digitale fino alle norme anti-assenteismo sono stati chiusi giorni fa.
Sulle partecipate, i confini della responsabilità erariale, e quindi della possibilità per la Corte dei conti di contestare i danni prodotti dall’azione degli amministratori, sono strati fra i temi più dibattuti. Per capire i termini del problema bisogna partire dalla situazione attuale, che in base alle regole fissate dalla Cassazione (in particolare nella sentenza 26283/2013 delle Sezioni unite)?concentra l’azione delle sezioni giurisdizionali della Corte dei conti sulle società in house che per Statuto escludano la presenza di soci privati. Le prime bozze del nuovo testo unico restringevano ulteriormente l’ambito delle competenze dei magistrati contabili, sulla base di un’impostazione che ha avuto varie declinazioni nelle diverse versioni del testo ma che in pratica assoggettava gli amministratori delle partecipate al giudice ordinario, e chiedeva alla Corte dei conti di occuparsi solo degli enti soci, e in particolare dei danni prodotti dalla mancata vigilanza sulle aziende. Questa ipotesi aveva acceso l’allarme dell’associazione dei magistrati contabili, anche perché?le contestazioni del giudice ordinario scattano in seguito all’azione di responsabilità, in uno scenario quindi improbabile per la comunanza di interessi fra gli amministratori e gli enti proprietari che li scelgono.
Nella sua formulazione definitiva, invece, il testo cambia rotta, al punto che secondo questa impostazione sarebbe sufficiente la presenza nel capitale di una quota pubblica per aprire le porte alle indagini dei magistrati contabili. Vale la pena di ricordare che in passato, prima dell’intervento con cui la Cassazione ha fissato i parametri oggi in vigore, in qualche caso la Corte dei conti ha contestato nelle società miste pubblico-private un danno “pro quota”, cioè proporzionale al peso della partecipazione pubblica.
Per addentrarsi nelle possibile ricadute operative, però, è presto, anche perché è facile prevedere che sulla novità, frutto di un lavorio che ha incrociato il piano tecnico e quello politico, si riaprirà una discussione speculare a quella che ha accompagnato le prime versioni del testo: ad animarla saranno in questo caso gli amministratori delle partecipate, che nella riforma incontrano anche una riduzione dei posti nei cda, con la regola dell’amministratore unico nelle società più piccole, e la previsione di nuovi tetti alle indennità (sul punto la riforma riprende le cinque fasce previste dall’ultima manovra.
L’altro aspetto su cui hanno agito le “limature” al testo riguarda l’elenco delle società, da Invimit ad Anas fino a Coni servizi, che eviteranno i limiti alle partecipazioni o gli obblighi di dismissione previsti dagli articoli 4 e 5 del decreto. Sul versante dei servizi pubblici locali, invece, la versione definitiva del testo conferma la riforma del trasporto pubblico e lo stralcio dei nuovi limiti all’in house, destinati però a riemergere presto nell’ambito dei provvedimenti attuativi della delega sugli appalti.
fonte: http://online.stradeeautostrade.it/ – 29 gennaio 2016