Via le tre fasce della riforma Brunetta in cui dividere i dipendenti pubblici per il riconoscimento dei “premi” di produttività, più voce ai contratti nazionali sulle modalità per riconoscere il “merito” e ristrutturazione delle regole su assenze per malattia, permessi e distacchi sindacali. Ci sono tutti questi temi sul tavolo della trattativa fra governo e sindacati sulla “partita doppia” rappresentata dal varo del testo unico del pubblico impiego e dal rinnovo dei contratti, tema rilanciato nei giorni scorsi anche dal conto annuale del personale pubblico (fonte Rgs) che ha mostrato una flessione del 6,2%, inflazione compresa, negli stipendi medi della Pa fra 2011 e 2015. I due temi viaggiano insieme, perché per attuare davvero i contenuti dell’intesa del 30 novembre sul rinnovo dei contratti (aumenti medi da 85 euro, parametri flessibili sulla produttività ma anche impegno congiunto contro le assenze strategiche al venerdì o al lunedì) serve il decreto sul pubblico impiego attuativo della delega di riforma della Pa.
Vari incontri tecnici si sono susseguiti nei giorni scorsi, ma ora il confronto prova ad accelerare per portare il testo in consiglio dei ministri a metà febbraio (la delega dà tempo fino a fine mese).
Tra gli obiettivi del nuovo decreto c’è quello di smontare alcuni contenuti simbolo della riforma Brunetta del 2009, a partire dalle tre fasce di merito che avrebbero dovuto assegnare al 25% dei dipendenti di ogni amministrazione (i “migliori”) il 50% dei fondi di produttività, distribuire l’altro 50% al 50% dell’organico e azzerare i “premi” all’ultimo 25% del personale. La riforma dovrebbe tornare a fissare principi generali, tra i quali il fatto che i premi non possono andare a tutto il personale, lasciando però ai contratti il compito complicato di tradurli in pratica. A governare il tutto dovrebbe essere un nuovo puntuale sistema di valutazione, recuperando per questa via anche alcuni capitoli delle regole per i dirigenti (ma ovviamente non il ruolo unico, per il quale servirebbe un nuovo intervento legislativo come sottolineato dal Consiglio di Stato).
Intanto (come anticipato sul Sole 24 Ore del 12 gennaio) sono in dirittura d’arrivo i correttivi per blindare gli interventi su partecipate, direttori sanitari e anti-assenteismo, colpiti dalla sentenza 251/2016 della Consulta che ha imposto l’intesa al posto del parere per i temi che intrecciano le competenze degli enti territoriali. Il confronto decisivo con Regioni ed enti locali dovrebbe avvenire questa settimana: in gioco ci sono soprattutto i parametri per individuare le partecipate da dismettere (i Comuni chiedono di portare da un milione a 500mila euro la soglia minima di fatturato e le Regioni spingono per avere maggiore autonomia decisionale) e i vincoli posti alle Regioni nella nomina dei direttori sanitari. (Gianni Trovati – Il Sole 24 Ore – 22 gennaio 2017)
Pubblico impiego, il governo accelera sui contratti
Ci è voluto tempo, ma la riforma della Pubblica amministrazione sta per essere completata e con lei sarà piazzato l’ultimo tassello per il rinnovo del contratto degli statali. Tra Funzione pubblica e Palazzo Chigi la parola d’ordine è accelerare sul decreto attuativo che riscrive parte delle regole sul lavoro pubblico, necessario per sbloccare la contrattazione. Il ministro Marianna Madia vuole portare il provvedimento in Consiglio dei ministri entro metà febbraio, avviando da subito il confronto con i sindacati, come previsto dall’intesa raggiunta il 30 novembre dell’anno scorso. Già la prossima settimana potrebbero esserci nuovi contatti tra le parti per arrivare a un incontro che porti al riavvio della contrattazione. Sempre nei prossimi giorni, il ministero convocherà Regioni e Comuni per discutere dei contenuti delle nuove regole del lavoro pubblico e, contemporaneamente, avviare formalmente la discussione sui contenuti dei tre decreti correttivi (società partecipate, licenziamenti dei furbetti del cartellino e nomine dei dirigenti sanitari), a rischio decadenza dopo la sentenza della Corte costituzionale.
Dopo una consultazione preventiva dei sindacali e il via libera dei ministri, il decreto sugli statali sarà inviato al Parlamento che si esprimerà entro maggio. È ormai certo che nel nuovo decreto attuativo non ci sarà la maxi riforma del pubblico impiego. Palazzo Chigi e Funzione pubblica hanno deciso di rinunciare alla riscrittura completa del Testo unico sul lavoro statale alla quale per mesi hanno lavorato i tecnici di Palazzo Vidoni. Un provvedimento che, nelle intenzioni, avrebbe dovuto sistemare tutte le regole che reggono il pubblico impiego, dalle assunzioni ai licenziamenti, dalla mobilità agli scatti di anzianità. La decisione sarebbe prettamente politica, in quanto con il cambio di Governo, ora guidato da Paolo Gentiloni, sarebbe venuta meno la spinta propulsiva data dal precedente esecutivo di Matteo Renzi. L’intenzione, dunque, è quella di approvare entro metà febbraio un decreto legislativo molto più contenuto rispetto alle attese e che ricalchi i soli punti contenuti all’interno dell’accordo sottoscritto da Governo e sindacati per il rinnovo del contratto. Il testo, dunque, si limiterà di fatto a sbloccare le parti relative alla contrattazione.
Le questioni aperte sono diverse. La prima riguarda la revisione dei meccanismi di assegnazione dei premi in busta paga per il superare la rigidità delle pagelle di berlusconiana memoria, quelle introdotte con la legge Brunetta del 2009. Questa prevede che i dipendenti vengano valutati e inseriti in tre fasce di merito (alta, media e bassa): le risorse incentivanti vanno distribuite per metà al 25% del personale più meritevole, l’altra metà al 50% dei dipendenti con performance intermedie, mentre lascia senza premi il restante 25% del personale. Dopo sette anni, la nuova intesa tra Governo e sindacati parla di introduzione di nuovi strumenti di valutazione che garantiscano un’adeguata valorizzazione delle competenze, oltre alla riforma dei fondi per l’erogazione del salario accessorio. Il secondo nodo da sciogliere riguarda il riequilibrio tra la legge e il contratto. Secondo l’accordo, è quest’ultimo che dovrà diventare lo strumento primario per regolare il rapporto di lavoro pubblico.
L’ultima questione da dirimere con il decreto Statali sono le nuove forme di flessibilità dell’orario di lavoro, la stretta sulle assenze anomale e reiterate e la formazione continua. Tutti e tre i punti verranno rivisti nel nuovo decreto di febbraio e, conseguentemente, applicati con il nuovo contratto (IL Messaggero)
22 gennaio 2017