La delega per la riforma della Pubblica amministrazione riparte da dove si era fermata con la crisi di governo, e apre la lista delle priorità con i correttivi ai decreti su partecipate, anti-assenteismo e dirigenti sanitari. Dopo la sentenza 251 con cui il 28 novembre la Consulta ha colpito il percorso attuativo scritto nella delega, imponendo l’«intesa» invece del «parere» degli enti territoriali sui temi che intrecciano le loro competenze, i tre decreti sono in vigore (mentre quelli su dirigenti pubblici e servizi locali sono caduti sul traguardo) ma esposti al rischio concretissimo di nuovi ricorsi che li bloccherebbero del tutto. Per superare il problema bisogna tornare in Conferenza Stato-Regioni, oppure in Unificata per i provvedimenti che riguardano da vicino anche gli enti locali, e cercare l’intesa con gli amministratori territoriali. La prova non è semplice, perché dopo la “vittoria” ottenuta dal Veneto davanti ai giudici delle leggi è complicato trovare il via libera unanime dei governatori.
Anche se l’impasse può poi essere superata se il governo decide di andare avanti comunque motivando le ragioni della scelta (si tratta della cosiddetta “intesa debole”).
Quella della Pubblica amministrazione, insieme agli interventi su processo penale e libro bianco della difesa, è stata ieri ricordata alla Camera dal neo-presidente del Consiglio Paolo Gentiloni fra le «tre grandi azioni di riforma» a cui «ridare slancio». L’indicazione del premier nel discorso sulla richiesta di fiducia, insieme alla conferma di Marianna Madia al vertice di Palazzo Vidoni, indica la scelta del nuovo esecutivo di continuare sulla strada tracciata dal governo Renzi. Oltre a una scelta, però, questa continuità è anche “obbligata” dal fatto che l’approvazione del nuovo testo unico del pubblico impiego è un passaggio indispensabile per dare gambe ai contenuti dell’intesa firmata con i sindacati il 30 novembre per far partire il rinnovo dei contratti del pubblico impiego bloccati dal 2010.
Nella «parte normativa» dell’accordo è stata infatti fissata l’intenzione di «individuare nuovi sistemi di valutazione» per valorizzare professionalità e competenze, e di «modificare e semplificare l’attuale sistema dei fondi di contrattazione di secondo livello». Tradotto: significa smontare l’impianto rigido della riforma Brunetta, che ha imposto la divisione dei dipendenti in tre «fasce di merito» e sottratto materie alla contrattazione, senza però essere mai stata attuata.
Il nuovo testo unico del pubblico impiego deve arrivare al consiglio dei ministri entro febbraio, e per allora andrà definita la divisione del fondo da 1,48 miliardi (1,93 dal 2018) che la legge di bilancio ha costruito per finanziare contratti, replica del bonus da 80 euro per militari e forze dell’ordine e nuove assunzioni nella Pa centrale. L’agenda, insomma, è ricca, e non facile da rispettare.
Gianni Trovati – IL Sole 24 Ore – 15 dicembre 2016