Flavia Amabile. E alla fine sembra rientrare il contestato emendamento che prevedeva la possibilità di tenere conto nei concorsi pubblici non solo del voto di laurea ma anche dell’ateneo di provenienza. «C’è la massima apertura a fare modifiche in modo condiviso o anche a cancellare», ha assicurato la ministra della Pubblica Amministrazione Marianna Madia.
La decisione verrà presa oggi. «Stiamo facendo una valutazione con i componenti della VII commissione, se superare l’emendamento o cancellarlo del tutto», spiega Marco Meloni del Pd. La parola, insomma, spetta ora alla commissione Cultura della Camera dopo cinque giorni di polemiche. La modifica era stata approvata giovedì scorso in commissione Affari Costituzionali di Montecitorio, era il frutto di un testo che in origine prevedeva solo l’abolizione del voto minimo di laurea come filtro per la partecipazione ai concorsi pubblici. Il testo dell’emendamento era poi stato riformulato dal relatore del provvedimento d’intesa con il governo introducendo nella valutazione del voto di laurea dei partecipanti ai concorsi pubblici una differenza tra atenei per «fattori relativi all’istituzione» e un riferimento al voto medio di laurea di «classi omogenee di studenti».
Erano insorti tutti, dai rettori delle università ai sindacati, gli studenti e persino il ministero dell’Istruzione che aveva chiesto che ogni considerazione sul voto di laurea venga «inserita all’interno di una riflessione più generale che riguarda il mondo dell’università».
E lo stesso Marco Meloni si dice d’accordo. «Noi avevamo affrontato il problema solo dal punto di vista della pubblica amministrazione, invece va affrontato anche dal punto di vista delle università. Ed è vero che le università sono organizzate in modo diverso e quindi hanno valutazioni che non corrispondono offrendo ai ragazzi la possibilità di scegliere l’ateneo anche in base alla maggiore generosità nel voto finale ma è anche vero che va fatto un discorso di riequilibrio delle risorse e di potenziamento del diritto allo studio che è molto ampio e che non può essere affrontato in una riforma della pubblica amministrazione».
Quindi oggi arriverà la decisione ma è chiaro che nessuno erigerà barricate a difesa di un emendamento che ha creato molti problemi al Pd. «A me basterebbe riuscire a far approvare la parte iniziale di quell’emendamento, quella che avevo scritto io, che prevede l’abolizione del voto minimo di laurea, una modifica che non crea problemi – spiega Meloni -. E comunque già nella legge delega stiamo lavorando ad una riforma per gestire con maggiore efficienza, trasparenza e modernità anche concorsi molto grandi e per far emergere un profilo del candidato più completo di quanto non avvenga ora».
La speranza del deputato è di eliminare le barriere presenti nelle regole attuali sulla partecipazione ai concorsi pubblici. Vuole ad esempio aprire le selezioni anche a chi non ha lauree in discipline tecniche legate alla figura cercata nel bando. «Chi l’ha detto che un laureato in lettere antiche non possa partecipare ad un concorso diplomatico? Se studia perché non dovrebbe avere quest’opportunità?».
La Stampa – 8 luglio 2015