Il cuore della riforma Madia è in dirittura d’arrivo. Ruolo unico dei dirigenti, possibilità di ruotare e licenziare chi è in panchina. Che giudizio ne dà? «Funzioni e posizione della dirigenza sono fondamentali per una amministrazione efficace», risponde Sabino Cassese, ex ministro della Funzione pubblica e giudice costituzionale. «Il disegno tracciato dalla legge Madia è ambizioso. Se portato a compimento, può essere l’avvio di una amministrazione pubblica moderna. Nell’esercizio dei molti poteri delegati al governo, sotto il controllo del Parlamento (una quindicina di deleghe), sarebbe stato utile cominciare proprio dalla dirigenza, mentre con la riforma della dirigenza si arriva all’ultimo giorno della delega. Ma la legge delegata va comunque considerata una svolta».
Il governo punta anche su questa riforma per ottenere maggiore flessibilità a Bruxelles. Condivide?
«Il valore di una buona norma sulla dirigenza è enorme, perché è da lì che si può cominciare a sperare in una modernizzazione amministrativa autentica. A Bruxelles lo sanno, perché conoscono le deficienze dell’amministrazione italiana. Si può quindi contare che questo rappresenti un grande titolo di credito nella trattativa riguardante la cosiddetta flessibilità».
Quanti anni ci vorranno prima che sia davvero applicata?
«Ora mi chiede di fare l’indovino. Posso dirle che, varato il decreto legislativo, sarebbe importante istituire una piccola “task force” per il monitoraggio dell’attuazione. Poi, istituire le tre Commissioni (una per la dirigenza statale, una per quella regionale, una per quella locale) che saranno i veri registi della norma. Infine, occorrerà che vengano valorizzate le qualità e i meriti dei dirigenti esistenti e segnalate invece le lacune (vi sono apparati amministrativi dove manca personale dirigente adeguato) ».
I malumori dei dirigenti, sia centrali che locali, è molto alto. C’è chi palesa aspetti di incostituzionalità, chi avverte del rischio di un gigantesco spoils system. Critiche ingiustificate?
«Il disegno è scritto dalla legge di delega, che risale all’agosto scorso. Non si può dire che sia un fulmine a ciel sereno. Ora si tratta di definire le modalità attuative. Un posto centrale l’hanno le tre Commissioni che ho menzionato. Se queste verranno composte in modo da assicurare un giusto equilibrio tra le quattro esigenze di fondo che vanno salvaguardate, penso che avremo buoni risultati, che dovrebbero suscitare apprezzamenti dai molti dirigenti capaci (nessuna speranza che coloro che vivono di aspettative di carriera, di attese di promozioni in base alla sola anzianità, senza riguardo alcuno al merito, possano dirsi contenti della riforma) ».
Quali sono queste esigenze?
«Scegliere sulla base del merito, valutato in modo imparziale, tenendo conto anche dell’esperienza; assicurare il rispetto degli indirizzi di governo, in modo efficiente, senza i tempi lunghi attuali; rafforzare lo spirito di corpo, senza però cedere alle derive corporative; garantire l’indipendenza del corpo dirigenziale, in modo che sia sicura la sua lealtà rispetto a qualunque esecutivo legittimo. Lo snodo per assicurare il giusto equilibrio tra queste esigenze sta proprio nelle tre Commissioni: queste dovranno individuare i migliori e consentire le scelte del corpo politico, tenendole allo stesso tempo sotto controllo».
Il ruolo unico non è una novità. Ci provò già Bassanini 15 anni fa. Ma non funzionò: esplosero i contenziosi e gli organici si gonfiarono.
Perché ora dovrebbe essere diverso?
«Per la verità ci provò per primo Andreotti nel 1972, con poco successo, anche se fu lui che iniziò a individuare nel personale direttivo un ruolo dirigenziale. Le condizioni del successo di questa riforma sono: sollecitudine nella messa in opera; continuità dell’azione governativa; una progressiva omogeneizzazione dei trattamenti economici; intelligenza e duttilità nel convincere la dirigenza attuale che questa è l’occasione per la modernizzazione amministrativa, della quale, alla fine, si gioveranno anche loro».
Repubblica – 25 agosto 2016