Speciale sulla riforma lavoro del Sole 24 Ore che dedica ampio spazio agli approfondimenti. Sotto la lente del quotidiano economico il funzionamento dei licenziamenti individuali e di quelli collettivi, oltre alle nuove regole per fare ricorso. Il giudice in questi casi può ordinare un risarcimento da 12 fino a massimo di 24 mensilità tenendo conto di l’anzianità del lavoratore, il numero di dipendenti; le dimensioni dell’attività economica, il comportamento e le condizioni delle parti, le iniziative assunte dal lavoratore per trovare lavoro. Di seguito il calendario che stabilisce tempi e modi dell’entrata in vigore delle nuove norme per quanto riguarda in particolare l’impugnazione dei licenziamenti, il tempo determinato e le nuove norme contro gli abusi delle partite Iva e del lavoro a progetto. L’abc della riforma. Come fare ricorso
Riforma del lavoro: il calendario
TEMPO DETERMINATO
NORMA: Modifica dei termini per impugnare il contratto a tempo determinato (da 60 a 120 giorni l’impugnazione stragiudiziale, da 270 a 180 quella giudiziale)
ENTRATA IN VIGORE: Si applica alle cessazioni di contratti a tempo determinato verificatesi a decorrere dal 1° gennaio 2013
IMPUGNAZIONE LICENZIAMENTI
NORMA: Modifica dei termini di impugnazione dei licenziamenti (da 60 a 120 giorni l’impugnazione stragiudiziale, da 270 a 180 quella giudiziale)
ENTRATA IN VIGORE: Licenziamenti intimati dopo l’entrata in vigore della legge
CONTRATTO DI INSERIMENTO
NORMA: Abrogazione del contratto di inserimento
ENTRATA IN VIGORE: Si applica dal 1° gennaio 2013, non cambia alcunché per i contratti in corso
CONFERMA DEGLI APPRENDISTI
NORMA: Onere di conferma, nella misura del 50 per cento, degli apprendisti assunti
ENTRATA IN VIGORE: Dopo 36 mesi dalla data di entrata in vigore della legge (prima onere del 30%)
ASSUNZIONE DEGLI APPRENDISTI
NORMA: Nuovi limiti quantitativi all’assunzione di apprendisti e divieto di utilizzo con la somministrazione a termine
ENTRATA IN VIGORE: Si applica esclusivamente con riferimento alle assunzioni con decorrenza dal 1 gennaio 2013
PARTITE IVA
NORMA: Norme contro gli abusi delle partite Iva e del lavoro a progetto
ENTRATA IN VIGORE: Per i nuovi contratti partita Iva si applicano appena entra in vigore la legge. Per i contratti in corso si applicano dopo 12 mesi dall’entrata in vigore. Subito applicabile per i nuovi lavori a progetto
PROCESSO PER I LICENZIAMENTI
NORMA: Nuovo rito di impugnazione dei licenziamenti
ENTRATA IN VIGORE: Si applica alle controversie instaurate dopo l’entrata in vigore della legge
CONSEGUENZE DEL LICENZIAMENTO
NORMA: Nuova disciplina delle conseguenze del licenziamento: reintegra e risarcimento
ENTRATA IN VIGORE: Si applica appena entra in vigore la legge
Ecco come funzionano i nuovi licenziamenti individuali
I licenziamenti per motivi economici sono intimati per un giustificato motivo oggettivo e, cioè, per ragioni connesse all’andamento economico dell’impresa oppure al suo assetto organizzativo. Nella nuova versione dell’articolo 18, se il giudice accerta che non ricorrono gli estremi del giustificato motivo oggettivo, non è più tenuto a riconoscere il diritto alla reintegrazione sul posto di lavoro.
Con la sentenza che annulla il licenziamento, infatti, il giudice dichiara comunque risolto il rapporto di lavoro dalla data del recesso, ma riconosce al lavoratore il diritto di ottenere il pagamento di un’indennità risarcitoria omnicomprensiva di importo variabile tra 12 e 24 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, oltre ai contributi previdenziali.
L’importo di questa indennità deve essere determinata dal giudice tenendo conto di alcuni parametri: l’anzianità del lavoratore, il numero di dipendenti occupati dal datore di lavoro, le dimensioni dell’attività economica, il comportamento e le condizioni delle parti, le iniziative assunte dal lavoratore per trovare lavoro. Per evitare che l’utilizzo di tali criteri sia trascurato, la legge impone al giudice di motivare l’applicazione di tali criteri.
Il regime cambia se il giudice ritiene che il licenziamento per giustificato motivo oggettivo sia «manifestamente infondato». In tal caso, il dipendente avrà diritto alla reintegrazione sul posto di lavoro, oltre a un’indennità di importo non superiore alle 12 mensilità, e al pagamento dei contributi previdenziali e assicurativi.
La nozione di “manifesta infondatezza” è destinata a creare molti problemi interpretativi, in quanto non sarà agevole stabilire quando un licenziamento è “soltanto” infondato (e quindi si applica esclusivamente la sanzione economica), oppure è “manifestamente” infondato (e quindi c’è anche la reintegra). È probabile che ci vorranno alcuni anni prima che si formino indirizzi giurisprudenziali stabili al riguardo, con la conseguenza che i licenziamenti saranno sempre assistiti da un notevole grado di incertezza circa il regime sanzionatorio applicabile.
La legge non riforma solo le conseguenze del licenziamento invalido, ma introduce una nuova procedura di conciliazione preventiva, obbligatoria per le aziende soggette all’articolo 18 che vogliono intimare un licenziamento per giustificato motivo oggettivo.
In questi casi, il datore di lavoro deve inviare una comunicazione preventiva alla direzione territoriale del Lavoro competente per territorio, con la quale comunica l’intenzione di procedere al licenziamento, indicandone le ragioni, e illustra le eventuali misure di ricollocazione.Sono previsti termini molto stringenti per l’avvio e la conclusione della procedura in cui le parti possono farsi assistere da un avvocato, da un consulente del lavoro o dai rispettivi rappresentanti sindacali: dopo aver ricevuto la comunicazione, è previsto l’obbligo per la direzione di convocare le parti entro un termine perentorio di sette giorni, e la procedura deve comunque concludersi entro 20 giorni dalla data di invio della convocazione. Al termine della procedura il datore di lavoro può intimare il licenziamento, se il tentativo di conciliazione fallisce.
Il licenziamento in tal caso ha efficacia dal giorno di avvio della procedura stessa, salvo il diritto al preavviso o all’indennità sostitutiva, ma i giorni di lavoro svolti si considerano come preavviso lavorato.
Se la conciliazione ha esito positivo, le parti possono raggiungere in accordo che preveda la risoluzione consensuale del rapporto; a fronte di tale accordo, il lavoratore ha diritto di accedere all’Aspi, il nuovo ammortizzatore sociale che ingloba la mobilità e il trattamento di disoccupazione. La legge prevede anche che le parti possono concordare l’attivazione di misure di outplacement, ma questo inciso non viene accompagnato da misure specifiche di incentivazione.
Licenziamenti. Scelte ben motivate per «vincere» l’articolo 18
Con l’espressione “licenziamento economico” si etichetta la fattispecie descritta dall’articolo 3 della legge 604/66 e relativa al licenziamento individuale determinato da «ragioni inerenti all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa». Dunque non necessariamente occorre che si verifichi una situazione di crisi del mercato e dell’azienda per giustificare questo licenziamento.
Esso è valido anche qualora l’azienda produca notevoli profitti ma abbia deciso di attuare una modifica organizzativa che determini la soppressione di quel posto di lavoro. Ad esempio: cambio una macchina in produzione che non necessita più di dieci persone ma soltanto di sei. Oppure: l’azienda decide di affidare in appalto i servizi di pulizia, e così via.
L’onere della prova è a carico del datore di lavoro che deve provare che: (a) ha realmente soppresso quel posto di lavoro; (b) non ha assunto altri lavoratori al suo posto; (c) non esistono altre mansioni equivalenti disponibili.
Questa è la disciplina fin dal 1966 e che la riforma non ha toccato. Le modifiche riguardano soltanto i rimedi nel caso in cui il giudice ritenga che il licenziamento sia invalido. Fino a oggi, se il datore di lavoro non riusciva a provare anche solo uno dei fatti sopra indicati (a, b e c), perdeva la causa con la conseguente reintegrazione del lavoratore. Domani non sarà più così. Credo si possa affermare che la reintegrazione resti soltanto se il datore di lavoro non riesca a provare la reale soppressione del posto di lavoro (a), perché, per esempio, immediatamente dopo ha assunto qualcun altro con mansioni e qualifica uguali a quelle del lavoratore licenziato. Altrimenti, e cioè se mancano le prove delle circostanze b e c, il giudice dovrà limitarsi a riconoscere al prestatore di lavoro un’indennità compresa tra un minimo di 12 e un massimo di 24. Come prima, se invece il datore di lavoro vince la causa, il lavoratore non ha diritto a null’altro se non al preavviso.
Questo tipo di licenziamento individuale dovrà essere preceduto da una procedura di conciliazione, la cui violazione, sempre che sussista la soppressione del posto di lavoro, comporterà la condanna a un risarcimento del danno inferiore: da un minimo di 6 a un massimo di 12 mensilità. La procedura si avvia con una comunicazione alla direzione territoriale del lavoro e per conoscenza al lavoratore, in cui il datore di lavoro annuncia l’intenzione di procedere al licenziamento dovendo indicare anche, con prescrizione alquanto misteriosa, «le eventuali misure di assistenza alla ricollocazione del lavoratore». L’ufficio pubblico deve rispondere entro 7 giorni convocando le parti. Il procedimento deve terminare entro 20 giorni dalla comunicazione della convocazione e l’efficacia dell’eventuale licenziamento retroagisce alla prima comunicazione del datore di lavoro. Se le parti invece raggiungono un accordo, il lavoratore ha diritto all’Aspi.
Sulle riduzioni del personale vizi sanabili tramite accordo
I licenziamenti dovuti a motivi economici non necessariamente ricadono sotto la disciplina del giustificato motivo oggettivo; se l’impresa intende licenziare almeno 5 lavoratori, si applica la procedura di licenziamento collettivo disciplinata dalla legge 223/1991. Questa procedura è molto rigorosa, e in alcuni casi ricollega a semplici violazioni di carattere formale alcune conseguenze molto pesanti, come l’inefficacia del licenziamento. Al fine di attenuare il rigore formale della legge, la riforma Fornero interviene su alcuni passaggi cruciali della procedura.
In primo luogo, viene precisato che gli eventuali vizi della comunicazione preventiva (la lettera con cui il datore di lavoro annuncia alle organizzazioni sindacali l’intenzione di procedere alla riduzione di personale e illustra le ragioni di tale scelta) possono essere sanati mediante accordo collettivo, siglato in corso di procedura. Questa precisazione è molto importante, perché spesso la comunicazione di avvio della procedura di riduzione di personale è soggetta a contestazioni che possono invalidare l’intera procedura e con l’attuale disciplina la giurisprudenza ha più volte messo in dubbio la possibilità che tali visi possano essere sanati da un accordo con i sindacati.
L’impatto sulla validità della procedura dei vizi meramente formali dovrebbe essere ridotto anche dalla norma che modifica i tempi di invio, all’ufficio pubblico del lavoro, della della lista dei lavoratori licenziati. Attualmente tale lista deve essere inviata alla fine della procedura e contestualmente al momento in cui sono comunicati licenziamenti; il requisito della contestualità è inteso in maniera rigorosa dalla giurisprudenza, con il risultato che una sfasatura di pochi giorni può invalidare tutta la procedura. La nuova norma assegna all’impresa un termine di sette giorni dalla data di comunicazione del licenziamento per inviare la lista del personale licenziato.
La riforma Fornero, inoltre, coordina alcune norme della legge 223/1991 con il nuovo regime sanzionatorio previsto per i licenziamenti individuali. Viene precisato che il licenziamento intimato, all’esito di una procedura di riduzione del personale, senza forma scritta è soggetto alle regole del licenziamento discriminatorio, quindi è sanzionato con la reintegra e il pagamento di un risarcimento pari a tutte le retribuzioni che sarebbero spettate dal recesso sino alla ripresa del lavoro.
Invece, in caso di violazione dei criteri di scelta, si applica il regime del licenziamento disciplinare con reintegra, e quindi il lavoratore ha diritto di ottenere sia la riammissione nel posto di lavoro, sia il pagamento di un’indennità di importo non superiore a 12 mensilità. Meno rigida è la sanzione per i casi in cui il licenziamento sia viziato a causa del mancato rispetto di una o più procedure di licenziamento collettivo; in tale ipotesi, si applica il regime del licenziamento disciplinare senza reintegra, e quindi al lavoratore spetta solo un’indennità risarcitoria omnicomprensiva di importo variabile tra 12 e 24 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto. Tale indennità viene determinata calcolando l’anzianità del lavoratore, il numero di dipendenti occupati dal datore di lavoro, le dimensioni dell’attività economica, il comportamento e le condizioni delle parti.
ilsole24ore.com – 29 giugno 2012