Pasquale Dui, Il Sole 24 Ore. Rifiutare una visita medica può causare la perdita del posto di lavoro. Il diniego del lavoratore di sottoporsi ad una visita medica e sanitaria, richiesta dal medico competente e dal datore di lavoro, costituisce infatti giusta causa di licenziamento. Il principio è ribadito dalla recente ordinanza della Corte di cassazione 22094/2022 del 13 luglio, e riguarda il caso di una lavoratrice che si era rifiutata di sottoporsi ad una visita medica di controllo, richiesta sia dal medico competenze, sia dal datore di lavoro, in due date differenti, con un netto rifiuto, dapprima anteponendo ragioni igieniche dell’ufficio in azienda, e successivamente rifiutandosi di accettare il cambio di mansioni per un nuovo appalto a Roma.
La Corte territoriale, a fondamento della decisione, ha rilevato che: il primo settembre del 2017 la datrice di lavoro aveva convocato, a mezzo di lettera, la dipendente a visita medica per la data del 12 settembre del 2017 comunicandole, contestualmente, che avrebbe preso servizio in Roma presso un appalto esterno; in quella data la lavoratrice si era rifiutata di sottoporsi a visita e con successiva email aveva affermato che non era possibile sottoporsi ad esami invasivi come i prelievi di sangue all’interno di una stanza usata per “riunioni aziendali” non asettica e neanche disinfettata, ribadendo tuttavia la propria disponibilità alla visita in un luogo idoneo.
A questo punto la lavoratrice era stata nuovamente convocata per il 19 settembre presso un centro medico ma – in pari data – aveva inviato una lettera nella quale aveva affermato che si era presentata presso la sede dell’appalto per prendere notizie sulle mansioni e che, appresa la notizia che concernevano quelle di addetta alle pulizie, aveva dichiarato la sua indisponibilità all’accertamento medico finalizzato allo svolgimento di mansioni illegittime, in quanto ritenute non confacenti alla propria professionalità.
Il principio della giusta causa
La giusta causa di licenziamento, che deve rivestire il carattere di grave negazione degli elementi essenziali del rapporto di lavoro e, in particolare, dell’elemento fiduciario, integra una clausola generale che richiede di essere concretizzata dall’interprete tramite valorizzazione dei fattori esterni relativi alla coscienza generale e dei principi tacitamente richiamati dalla norma, (Cass. 6498/2012; Cass. 5095/2011; nella giurisprudenza di merito possono richiamarsi, a vario titolo, App. Roma 2 febbraio 2022; App. Milano 24 settembre 2021, che si sofferma sul demansionamento del lavoratore e sulla relativa disciplina).
Si tratta, come è agevole rilevare, di contestazione riguardante non il parametro normativo di cui all’articolo 2119 del Codice civile (per una fattispecie di applicazione del licenziamento per giustificato motivo soggettivo, con preavviso, Cass., ordinanza, 22819/2021; per una conferma della adozione del licenziamento per giusta causa, Cass. 4114/2017), ma la ricorrenza di elementi idonei a costituire la giusta causa di licenziamento e la proporzionalità della sanzione, che costituiscono accertamenti di fatto devoluti al giudice del merito, il quale, in questo caso, con motivazione corretta sul versante logico e giuridico, e quindi incensurabile in Cassazione, ha ritenuto comprovati, sulla base della ricostruzione dei fatti documentalmente risultanti, l’illegittimità del comportamento omissivo della dipendente, punito anche con sanzioni penali, e lo scopo della condotta del datore di lavoro, finalizzata alla prevenzione rispetto alla sicurezza e salubrità nei luoghi di lavoro, cui il Dlgs 81/2008, articolo 41, è improntato.
Le possibili difese
Segnatamente, quanto al caso di specie, nel quale la lavoratrice interessata aveva rifiutato il controllo medico al fine di contrastare un possibile atto di demansionamento, la Cassazione ha stabilito che una reazione del genere non poteva ritenersi giustificata ai sensi dell’articolo 1460 del Codice. La condotta del datore di lavoro è stata accertata quale conferma delle prescrizioni imposte dalle leggi a tutela della salute e, d’altro canto, la lavoratrice aveva tutti gli strumenti, necessari ed opportuni, per l’impugnazione dell’esito della visita medica, nonché per l’impugnazione dell’ipotizzato demansionamento.