L’Università di Camerino, la Coldiretti di Macerata e quaranta imprese agricole zootecniche associate, nell’attuare le misure di conservazione di un sito Zps della rete Natura 2000, situato sull’Appennino marchigiano, hanno messo in atto delle pratiche di allevamento “virtuose” al fine di promuovere un modello integrato di gestione dei pascoli, più correttamente denominati praterie, che hanno un elevato valore ambientale in quanto, oggi, rappresentano ben il 20% delle terre emerse.
Secondo la dir. 92/43/Cee quasi tutte le praterie appenniniche sono considerate habitat prioritari. I risultati ottenuti dalla collaborazione tra l’Università di Camerino, la Coldiretti di Macerata e gli allevamenti sono molto interessanti in quanto forniscono orientamenti utili per stabilire, più in generale, delle buone prassi di gestione dei pascoli in modo da tutelare la biodiversità e salvaguardare numerose specie di avifauna che sopravvivono grazie alla presenza del pascolo e, dunque, di allevamenti estensivi. Infatti, delle diciotto specie di uccelli oggetto di tutela da parte della Direttiva 79/409/Cee, tredici sono strettamente connesse con le praterie.
Il risultato che merita di essere evidenziato è che tale sperimentazione dimostra come l’attività degli erbivori, se gestita correttamente in modo estensivo, possa contribuire al mantenimento della biodiversità nelle aree pascolive in quanto esiste uno stretto legame di interdipendenza tra la gestione e conservazione della diversità floristico-vegetazionale e l’utilizzo zootecnico
L’attività degli erbivori, infatti, influenza le piante all’interno di una comunità vegetale. La loro presenza su un’area a pascolo determina il fenomeno della resistenza al pascolo intesa come capacità delle piante di crescere e sopravvivere all’interno di una comunità vegetale soggetta alla pressione zootecnica.
La resistenza al pascolo comprende due tipi di strategie complementari attraverso le quali le piante cercano di sopportare l’erbivoria: evitamento e tolleranza, adattamenti che consentono di minimizzare i danni provocati dall’erbivoria. Questi meccanismi rappresentano mezzi attivi di difesa o di “fuga” per le piante.
Da tale sperimentazione è emerso che, quando il carico zootecnico è eccessivo o troppo ridotto rispetto alla superficie di pascolamento, comunque si producono degli effetti negativi per l’habitat. In particolare, in caso di sovraccarico, si assiste al fenomeno dell’evitamento e, cioè, le specie vegetali mettono in atto dei processi attivi di difesa che sono: meccanici, in quanto tendono a sopravvivere specie vegetali “sgradevoli” sul piano alimentare dotate di spine e peli, chimici, in quanto tendono a sopravvivere le specie che presentano tossicità, hanno un odore sgradevole ed un cattivo sapore oppure meccaniche, in quanto le piante rimanenti presentano un portamento prostrato. In caso di sottocarico, in ogni caso, ci sono effetti negativi per l’habitat, perché sull’area interessata possono proliferare specie inadatte alla sopravvivenza di alcune specie di avifauna.
Quando, invece, la gestione del pascolo è equilibrata si assiste ad un fenomeno di tolleranza ossia la pianta sviluppa una capacità di recupero in seguito all’azione di disturbo subita, ad esempio, attraverso un processo di ricostituzione di cellule non differenziate che duplicandosi originano nuovi tessuti oppure grazie alla diffusione di semi che rimpiazzare gli individui persi o avviano meccanismi di compensazione per ripristinare il grado di produzione (abilità fotosintetica, un più efficace assorbimento radicale dei nutrienti, ecc.)
La buona prassi di gestione dei pascoli è imperniata sulla capacità di carico teorica e, sull’individuazione del numero di animali che il sistema di pascolo è in grado di mantenere, durante tutto il periodo di alpeggio, in buone condizioni di salute in quanto le esigenze alimentari degli animali non eccedono la disponibilità di foraggio. Dal punto di vista ecologico è necessario che la produzione vegetale ottenuta stagionalmente sia asportata dagli animali pascolanti in modo da impedire l’accumulo di lettiera e mantenere il massimo di ricchezza floristica possibile.
Le tecniche di pascolamento, rivestono, quindi, un ruolo essenziale per il mantenimento in buono stato dei pascoli e sono espressione del livello organizzativo raggiunto dalle imprese pastorale per utilizzare le risorse foraggere di un determinato contesto ambientale. Lo strumento con il quale occorre gestire le aree pascolo è, pertanto, il piano di pascolamento.
Un aspetto importante che occorre tener presente nel pianificare il pascolamento è quello di evitare che tali aree siano destinate all’alimentazione di una sola specie in quanto in questo caso, si provocano dei danni sempre alla medesima specie vegetale. In sostanza, far pascolare su una medesima area, specie differenti di erbivori (ad es. bovini, ovini, caprini, equini) consente la permanenza di specie vegetali diversificate, in maniera equilibrata. Il medesimo risultato si ottiene anche garantendo un avvicendamento sulla medesima area della presenza di erbivori appartenenti a specie diverse. E’ un po’ il medesimo principio delle rotazioni colturali.
Oltre agli aspetti positivi sopra elencati, gli allevamenti estensivi al pascolo arrecano anche altri benefici in termini ambientali alla collettività. Infatti, consentono di ridurre il rischio di incendi grazie al fatto che gli erbivori si alimentano con la bassa vegetazione, contribuendo così a far innalzare la chioma degli alberi.
In conclusione, senza animali al pascolo e, quindi, senza allevatori, si rischia di perdere un’importante fattore che contribuisce al mantenimento della biodiversità dei pascoli. Occorre, quindi, incentivare questo tipo di attività se non vogliamo perdere le nostre praterie in maniera irreversibile. Tuttavia, solo se l’allevatore trae reddito da questo lavoro potrà continuare tale attività, permettendo ai nostri pascoli di continuare ad esistere.
Ilpuntocoldiretti.it – 17 ottobre 2011