Niccolò Carratelli, La Stampa. Non resteremo senza vaccini, ma «l’Ema può e deve accelerare sul via libera a quello di AstraZeneca». I medici che non si vaccinano «non possono fare il loro lavoro», mentre per i cittadini si potrebbe pensare a un «tracciamento dell’avvenuta vaccinazione». Walter Ricciardi, consulente del ministro della Salute per l’emergenza coronavirus e professore di Igiene all’Università Cattolica, è stato fin dall’inizio il primo dei rigoristi. E anche alla fine di questo difficile 2020 non si smentisce: «Il lockdown natalizio andrebbe prolungato almeno fino a metà gennaio – spiega – e non ci sono le condizioni per riaprire le scuole tra una settimana».
Professor Ricciardi, partiamo dai vaccini, perché molto dipende dall’esito della campagna vaccinale anti Covid: è preoccupato per il rischio di ritardi nelle forniture?
«No, perché abbiamo la certezza di poter contare su due vaccini molto innovativi, quelli di Pfizer e Moderna, che sono arrivati presto e che saranno comunque prodotti e distribuiti in quantità maggiore rispetto alle previsioni iniziali. Certo, dispiace che il vaccino partito per primo, per metà italiano, sia in ritardo: AstraZeneca sconta un problema procedurale più che scientifico».
Con il vaccino Pfizer l’Ema ha anticipato i tempi, per AstraZeneca si parla di un altro mese prima del via libera…
«So che l’azienda britannica ha accelerato l’invio dei dati all’Agenzia europea per completare la documentazione. C’è bisogno di una ulteriore fase di sperimentazione, che inevitabilmente ha i suoi tempi. Credo, però, che l’Ema abbia gli elementi per velocizzare la procedura e auspico che non dovremo aspettare un altro mese».
Quando vedremo i primi risultati concreti della campagna vaccinale?
«Se nei primi mesi del 2021 riusciremo a vaccinare le categorie più fragili della popolazione, già prima dell’estate avremo ricadute positive dal punto vista della mortalità e dei ricoveri in ospedale, alleggerendo la pressione sul sistema sanitario. Ma per vedere risultati sul fronte dei contagi, quindi una diminuzione della circolazione del virus, bisognerà aspettare la fine dell’anno».
Il premier Conte è tornato a escludere l’obbligatorietà della vaccinazione, è d’accordo?
«Sono d’accordo, noi sappiamo che il 70% dei cittadini italiani non è contrario ai vaccini, un altro 25% è dubbioso, ma va informato con chiarezza: alla fine potremo arrivare al 95% di copertura. I cosiddetti no vax sono una minoranza assoluta, anche se rumorosa».
Medici e infermieri, considerato il loro ruolo, possono non vaccinarsi?
«Per loro è un imperativo morale e deontologico, una questione di sicurezza sul luogo di lavoro: se un operatore sanitario non si protegge dal virus vaccinandosi, non può continuare a esercitare. E se un medico non crede nel vaccino, vuol dire che ha smesso di studiare. Credo che per la grande maggioranza sia sufficiente la raccomandazione, ma se non dovesse bastare si prenderanno misure più energiche».
Una «patente» vaccinale i medici, quindi, e una specie di patentino anche per i cittadini?
«Parlerei di un tracciamento degli immunizzati, da valutare nel caso ci trovassimo di fronte a un 30 0 40% della popolazione che rifiuta il vaccino. È un’ipotesi da studiare bene dal punto di vista giuridico, ma nei Paesi orientali ha funzionato: basta ricevere sul telefonino il codice dell’avvenuta vaccinazione e mettere un apposito lettore all’ingresso di cinema, teatri, stadi di calcio e luoghi simili. Entra solo chi ha il codice che certifica la protezione».
In attesa di raggiungere l’immunità di gregge andiamo avanti con mascherine e distanziamento?
«Non abbiamo alternative: finché non siamo tutti o quasi vaccinati, l’unico modo per proteggerci è mantenere le stesse regole. E questo resterà valido anche per chi sarà immunizzato, come vale ora per chi è stato malato di Covid ed è guarito».
Avremo bisogno di altri periodi di chiusura come questo semilockdown natalizio?
«Per abbassare davvero la curva dei contagi, lo abbiamo visto, l’unica strada è quella di lockdown lunghi e nazionali. Anche la “zona rossa” ora in vigore andrebbe prolungata, almeno fino a metà gennaio, se vogliamo vedere effetti positivi. Se dal 7 gennaio, di colpo, facciamo riprendere tutte le attività, assisteremo certamente a un rialzo della curva epidemica».
Quindi, secondo lei, non dovrebbero riprendere nemmeno le lezioni in presenza a scuola?
«So che è impopolare dirlo, ma non è il caso. Si possono riportare i ragazzi in classe solo con una circolazione bassa del virus, non con quella attuale. Le scuole sono ambienti sicuri, ma è la situazione esterna a sconsigliarne la riapertura. Altrimenti rischiamo di richiuderle nel giro di poche settimane».
Lei si ritrova spesso a fare la parte del rompiscatole, che chiede maggiore prudenza e viene sempre meno ascoltato. Le pesa questo ruolo?
«Non ci ho mai pensato, la verità è che nella prima fase ho potuto incidere di più sulle decisioni politiche, partecipavo anche alle riunioni del Cts, era diverso. Ma, con il passare dei mesi, ho notato che i miei consigli non venivano più considerati e i risultati si sono visti».
Chi non li ha considerati? Le sue posizioni non erano più sostenibili dal punto di vista economico?
«Non lo so, so che con il ministro Speranza c’è stata sempre grande sintonia. E so che durante l’estate abbiamo dilapidato tutto il capitale di sicurezza e controllo del virus faticosamente creato nei mesi precedenti. La riapertura delle discoteche è stata forse la scelta più scellerata, legata alle decisioni autonome delle Regioni».
Come sarà questo 2021 ce l’ha già fatto capire, qual è il suo augurio per gli italiani?
«L’augurio è che, alla fine, questa pandemia davvero ci cambi in meglio. Ma, sinceramente, non vedo segnali positivi da questo punto di vista».—