Se datore di lavoro minaccia la perdita del posto se il lavoratore non accetta un trattamento economico inferiore a quello risultante dalle buste paga integra il reato di estorsione.
Il richiamo alla difficile situazione economica così come la diffusione del modus di contrattare non legittimano gli abusi. Così afferma la Cassazione (sentenza 46678/11).
Il caso
Problemi economici per l’azienda, difficoltà occupazionali per i lavoratori. Come uscirne? L’idea ‘magica’ di un’imprenditrice è semplice: ridurre il salario effettivo, lasciando invariato quello indicato nelle ‘buste paga’. Con due conseguenze: dare respiro all’azienda e consentire ai dipendenti di conservare il posto di lavoro. Ma l’idea – peraltro non nuova – non è delle migliori. L’imprenditrice viene infatti condannata, in primo e in secondo grado, per il reato di estorsione continuata in danno di alcune dipendenti. L’imprenditrice però, contesta la condanna a oltre tre anni di reclusione e a 400 euro di multa. Presenta ricorso in Cassazione e critica la ricostruzione degli avvenimenti delineata in Appello. Secondo la ricorrente, difatti, mancano in concreto «gli elementi della costrizione e dell’approfittamento, nonché del danno e dell’ingiusto profitto». Molto più semplicemente, a suo dire, l’imputata avrebbe offerto «le condizioni di lavoro praticate nella zona, accettate liberamente dalle dipendenti». Tutto ciò, peraltro, «in assenza di un reale profitto» per l’imprenditrice, che, successivamente, «ha dovuto liquidare l’attività per mancanza di commesse e per i debiti contratti».
Per giunta, l’imputata ricorda che alle lavoratrici è stato corrisposto «quanto concordato con i sindacati a titolo di risarcimento» e, a loro volta, le dipendenti si sono dichiarate «integralmente soddisfatte». Far balenare l’ipotesi della perdita del posto di lavoro per ottenere l’accettazione della riduzione del salario è reato. Lo scenario della crisi, però, non può rendere accettabili determinate azioni del datore di lavoro. Su questo punto, i giudici della Cassazione ribadiscono che la prospettazione, da parte del datore di lavoro, in un contesto di grave crisi occupazionale, della perdita del posto di lavoro nel caso in cui non si accetti un trattamento economico inferiore a quello risultante dalle ‘buste paga’ integra il reato di estorsione. Logica e legittima, quindi, la condanna dell’imprenditrice. Che non può neanche pretendere di vedere ‘alleggerito’ l’ammontare del risarcimento da pagare sulla base di un accordo transattivo con le operaie.
Lastampa.it – 21 febbraio 2012