I giudici hanno affrontato, in sede di appello, un caso di accertamento di danno erariale derivante da malpractice medica a carico di due chirurghi che avevano determinato con colpa, in un intervento chirurgico da loro eseguito, la perforazione della parete uretro-rettale del paziente. La Corte dei conti, richiamando due sentenze delle Sezioni unite della Cassazione (19129/2023 e 584/2008), ha affermato che, «in ordine al regime probatorio (…) anche nel caso di accertamento del danno erariale derivato da malpractice medica, ai fini della ricostruzione del nesso causale», a differenza dell’ambito penale in cui vige la regola della prova “oltre il ragionevole dubbio”, vale la regola della preponderanza dell’evidenza o del “più probabile che non”, stante la diversità dei valori in gioco nel processo penale tra accusa e difesa e l’equivalenza di quelli in gioco nel processo civile e contabile tra le due parti contendenti.
Come spiega la sentenza della Corte dei conti, diversa è la funzione tra i due giudizi: da una parte la responsabilità amministrativa, al pari della responsabilità civile, inserendosi nell’ambito della responsabilità patrimoniale, ha funzione risarcitoria e restitutoria; dall’altra, la responsabilità penale, incidendo sulla libertà personale, ha funzione di prevenire ulteriori reati e di reprimere quello compiuto. «La differente natura dei valori – si legge nella sentenza – che vengono in rilievo nei due giudizi – libertà, nel giudizio penale e patrimonio nel giudizio amministrativo – segna l’essenziale distinzione tra i due processi, connotati da una diversa regola probatoria». Né è possibile, secondo la Corte dei conti, «l’estensione analogica di principi e disposizioni afferenti il processo penale (…) per integrare la disciplina del processo contabile di responsabilità che ha, al pari del processo civile, quale unico oggetto sul quale si riflettono gli effetti della decisione giudiziaria, il patrimonio del soggetto convenuto».
Si tratterebbe infatti di un’operazione ermeneutica «in contrasto con l’articolo 3 della Costituzione, poiché determinerebbe l’estensione di una medesima disciplina a due situazioni – tutela del patrimonio e tutela della libertà personale – sostanzialmente differenti».
Da qui, dunque, emerge che nel giudizio erariale dinanzi la Corte dei conti, questa può anche affermare la responsabilità del sanitario, nonostante sia stato assolto in sede penale, poiché nel giudizio si può porre a fondamento della decisione «indizi e/o prove raccolte in giudizi celebratisi innanzi ad altri plessi giudiziari, ivi comprese le cosiddette prove atipiche, ovvero innominate, anche se non espressamente previste dal Codice di rito», purché venga fornita adeguata motivazione ed evidenziato il percorso logico e giuridico che ha condotto alla decisione.
Con riguardo, poi, «al regime probatorio relativo alla sussistenza del nesso di causalità fra l’evento dannoso e la condotta colpevole (omissiva o commissiva) del medico, va precisato – scrive la Corte dei conti – che, ove il ricorso alle nozioni di patologia medica e medicina legale non possa fornire un grado di certezza assoluta, la ricorrenza del rapporto di causalità non può essere esclusa in base al mero rilievo di margini di relatività, a fronte di un serio e ragionevole criterio di probabilità scientifica.
Può quindi accadere che, per uno stesso fatto di malpractice sanitaria, i sanitari vengano assolti o, ancor prima, non indagati per il reato a loro ascritto (lesioni personali o omicidio), ma vengano condannati in sede civile a risarcire il danno patrimoniale e non patrimoniale alla vittima o ai suoi eredi, ed eventualmente condannati, in caso di colpa grave, dalla Corte dei conti a risarcire il danno nei confronti dell’Azienda sanitaria che ha risarcito il danno al paziente danneggiato.