Per la Cassazione (sentenza 5829/2019), se la sentenza assolve gli imputati indicando solo il lieve grado di colpa accertato in giudizio, deve ritenersi applicata ultrattivamente e in bonam partem la legge Balduzzi e anche gli effetti civili decadono. LA SENTENZA
“Il fatto non costituisce reato”. E se la sentenza assolve gli imputati e indica solo l’accertamento della colpa lieve, vuol dire che si è applicata ancora nonosntante la legge 24/2017 l’abbia abrogata (ultrattivamente), perché è più favorevole, la legge Balduzzi. Ma a questo punto decadono anche gli effetti civili.
Secondo questo principio la Cassazione (quarta sezione penale, sentenza 5892/2019) ha confermato l’assoluzione di due medici di un’Asl dal reato di omicidio colposo per il decesso di una paziente. Decisione che ha coinvolto anche gli effetti civili che a questo punto devono essere revocati dal giudice.
Il fatto
A due dottoresse dell’Asl sono stati contestati profili di colpa per “imprudenza, imperizia e negligenza”, in riferimento al reato di cui all’art. 589 del codice penale per aver omesso di procedere ad accertamenti diagnostici più approfonditi, determinando l’aumento del grado di malignità e aggressività della neoplasia che affliggeva la paziente, come si legge nel capo di imputazione, poi deceduta.
La Corte di Appello ha assolto le imputate con la formula ‘il fatto non costituisce reato’, ma non ha chiarito se ha ritenuto applicabile il decreto Balduzzi, in quanto norma più favorevole, se pure abrogata dalla legge n. 24 del 2017, né ha indicato il profilo di colpa generica: si è limitata a chiarie che si trattava di una colpa di grado lieve.
La Cassazione sottolinea che anche secondo la legge 24/2017 l’art. 590-sexies c.p., da questa introdotto, prevede che qualora l’evento lesivo si sia verificato in ambito sanitario, a causa di imperizia, la punibilità è esclusa quando sono rispettate le raccomandazioni previste dalle linee guida ovvero le buone pratiche clinico-assistenziali, sempre che risultino adeguate alle specificità del caso concreto.
E ricorda che le Sezioni Unite hanno chiarito che l’art. 590-sexies prevede una causa di non punibilità applicabile ai fatti inquadrabili nel paradigma dell’art. 589 o di quello dell’art. 590 c.p., che opeara nei soli casi in cui l’esercente la professione sanitaria abbia individuato e adottato linee guida adeguate al caso concreto e versi in colpa lieve da imperizia nella fase attuativa delle raccomandazioni previste dalle stesse.
Secondo la Cassazione quindi, la decisione porta a ritenere che la Corte di Appello “abbia inteso applicare ultrattivamente, in bonam partem, il citato art. 3, comma 1, della legge 8 novembre 2012, n. 189, disposizione che aveva dato luogo ad una abolitio criminis parziale degli artt. 589 e 590 cod. pen., come sopra chiarito”.
E questo – in particolare l’art. 574, comma 4, c.p.p. – estende al capo civile gli effetti dell’impugnazione proposta dall’imputato nei confronti della decisione di condanna, con la precisazione che la decisione nel giudizio di impugnazione sulla responsabilità penale si riflette automaticamente sulla decisione relativa alla responsabilità civile.
La Cassazione rileva quindi che la sentenza “non può che essere qualificata come sentenza assolutoria di merito: la Corte di Appello, in ragione del lieve grado di colpa accertato in giudizio, ha reputato che la condotta delle imputate rientrasse nell’ambito applicativo dell’esonero di responsabilità, per colpa lieve, sancito dall’art. 3, legge n. 189 del 2012 …., ma ha erroneamente confermato le statuizioni civili che erano contenute nella sentenza di condanna pronunciata dal Tribunale”.
La Cassazione ha annullato quindi la sentenza senza rinvio per quanto riguarda le statuizioni civili che vengono eliminate oltre che per l’Azienda sanitaria coinvolta e ricorrente, anche per le due dottoresse imputate.
11 febbraio 2019 – Quotidiano sanita