Responsabilità professionale: vanno bene le linee guida per valutarie la colpa, ma solo se queste sono aderenti al caso concreto, senza generalizzazioni.
A deciderlo è la sentenza 28187 della Cassazione penale che per la prima volta interpreta le novità della legge 24/2017 che ha avuto, commentano i giudici, l’ambizione normativa di riscrivere a fondo la disciplina dell’omicidio e delle lesioni colpose in ambito sanitario con il nuovo articolo 590-sexies del Codice penale, con evidenti “incongruenze interne tanto da mettere in forse la stessa razionale praticabilità della riforma in ambito applicativo”.
Il caso riguarda uno psichiatra al quale erano state ascritte una serie di condotte omissive rispetto a un paziente in una struttura a bassa soglia assistenziale, che avrebbero favorito il comportamento suicidario di quest’ultimo. Il Gip ha giudicato che l’azione dello psichiatra non può considerarsi come causa scatenante dell’imprevedibile gesto omicidario. La parte civile ha opposto ricorso sostenendo che i precedenti del paziente dovevano far valutare la possibilità dell’atto e sottolinea che lo psichiatra effettuò specifiche scelte terapeutiche anche contro il parere espresso da altri professionisti, riducendo la terapia farmacologica a fronte di un forte aumento degli stimoli esterni a cui era sottoposto il paziente.
I giudici della Cassazione penale hanno sostenuto anche che la nuova legge ha aspetti contraddittori quando da una parte esclude la punibilità in caso di rispetto delle linee guida e dall’altra ne delimita l’applicazione ai casi di imperizia. Una contraddizione che potrebbe essere eliminata solo se si ammette, sottolinea la sentenza, che il legislatore ha voluto escludere sanzioni anche nei confronti del sanitario che, pur avendo provocato una lesione a causa di una condotta rimproverabile per imperizia, in qualche momento dell’intervento terapeutico ha comunque fatto applicazione di direttive qualificate, anche quando queste sono poi del tutto estranee al momento in cui si è poi espressa l’imperizia e manifestato il danno.
La Cassazione fa anche l’esempio di un chirurgo che asporta una neoplasia addominale, ma, per errore, invece di recidere il peduncolo della neoformazione, taglia un’arteria e il paziente muore. Quindi, sostengono i giudici l’osservanza pedissequa delle linee guida che hanno contenuti di orientamento sarebbe in conflitto con l’articolo 32 della Costituzione: si tratterebbe infatti di un radicale depotenziamento della tutela della salute.
La Cassazione ritiene allora che si debba mettere insieme il rispetto delle linee guida e l’attenzione al caso concreto. Sulle linee guida i giudici sottolineano lo sforzo della legge 24/17 di costruire un sistema istituzionale, pubblicistico di regolazione dell’attività sanitaria che ne assicuri lo svolgimento in maniera uniforme e aderente a evidenze scientifiche controllate. Col doppio effetto che all’istituzione sanitaria è assicurato il governo dell’attività medica e il professionista deve attenersi a queste, ma ha anche il diritto di vedere giudicata la propria condotta sulla base delle direttive che gli sono state imposte.
Ma la Cassazione fa una sottolineatura ulteriore, e cioè che tutto questo debba avvenire “quando le raccomandazioni generali siano pertinenti alla fattispecie concreta”. Si tratta cioè di verificare se sono state attualizzate in modo corretto nell’ambito del rapporto terapeutico con attenzione particolare al caso concreto.
La sentenza fornisce anche una serie di indicazioni per disciplinare la fase transitoria e la successione di norme penali nel tempo secondo cui la riforma non troverà applicazione negli ambiti non governati da linee guida e neppure in quelli dove le linee guida ci sono, ma le caratteristiche del caso concreto portano a escluderle.
Quotidiano sanità – 8 giugno 2017