Il Sole 24 Ore lunedì. Una casa farmaceutica che abbia promosso, mediante la fornitura di un farmaco, una sperimentazione clinica – eseguita da una struttura sanitaria a mezzo dei propri medici – può essere chiamata a rispondere a titolo contrattuale dei danni sofferti dai soggetti cui sia stato somministrato il farmaco (a causa di un errore dei medici sperimentatori) solamente quando risulti che la struttura ospedaliera e i suoi dipendenti abbiano agito quali ausiliari della casa farmaceutica, così che la stessa debba rispondere del loro operato e del loro inadempimento in base all’articolo 1228 del Codice civile. È quanto affermato nella decisione 10348, resa dalla terza sezione civile della Cassazione lo scorso 20 aprile.
La Suprema corte censura la decisone della Corte d’appello, la quale, sulla domanda proposta da una paziente già affetta da cardiopatie, che lamentava di essere stata sottoposta a un protocollo sperimentale senza una adeguata valutazione delle possibili complicanze, aveva condannato, oltre all’azienda ospedaliera, anche la stessa causa farmaceutica.
La prova
La Cassazione rammenta che la casa farmaceutica, a differenza della struttura ospedaliera, può essere ritenuta vincolata verso il paziente, sottoposto a sperimentazione, da un contratto (o contatto sociale) solo ove sia provato nel giudizio che vi sia stata – in via diretta o mediata da altri sanitari – una partecipazione della casa farmaceutica alla fase di reclutamento e di gestione dei pazienti sottoposti alla sperimentazione.
In assenza di tale prova, acquisibile nei fatti e dall’esame del protocollo di sperimentazione stesso, la casa farmaceutica risponde eventualmente solo per la più lieve responsabilità extracontrattuale o, al più, per esercizio di attività pericolosa prevista dall’articolo 2050 del Codice civile.
Così, la Corte d’appello aveva errato nel presumere un rapporto di ausiliarietà (e quindi di dipendenza ai fini della responsabilità contrattuale verso la paziente) dei medici sperimentatori con la casa farmaceutica per il solo fatto che l’azienda fosse promotrice della sperimentazione.
Al contrario, la responsabilità della casa farmaceutica può essere valutata in un contesto di oneri legati all’obbligazione contrattuale verso il paziente solo se venga identificato un sicuro contatto con il soggetto sottoposto a sperimentazione, cosa che nel caso di specie era rimasta indimostrata.
Il giudice deve dunque valutare la natura del rapporto tra la casa produttrice e lo sperimentatore (inteso come azienda ospedaliera e i suoi ausiliari medici) e se la prima abbia mantenuto una qualche funzione di governo sia nella fase di reclutamento dei candidati, sia in quella di esecuzione del protocollo sperimentale.
I vaccini
Più in generale, la natura della responsabilità da sperimentazione del farmaco ci porta all’attualità sul tema, assai analogo, della somministrazione dei vari protocolli vaccinali in corso, non solo nel nostro Paese, per combattere la pandemia da Covid-19, che potrebbe esporre i somministratoti a profili di responsabilità civile (soprattutto per possibili effetti collaterali non ancora bene indagati), non valendo in questo contesto lo “scudo penale” regolato dal decreto legge 44/2021 (che peraltro potrebbe subire modifiche: è ora all’esame del Senato per la conversione in legge).
Può essere utile rammentare la pronuncia della Cassazione 20727 del 13 agosto 2018, che ha confermato l’assoluzione dei sanitari per l’inoculazione di un vaccino in quanto l’attività istruttoria aveva accertato che nella somministrazione non vi erano controindicazioni «clinicamente evidenti» per il paziente e che l’insorta complicanza non era ragionevolmente prevedibile in quanto evento documentato ma estremamente raro.
In conclusione, dall’esame della sentenza 10348/2021 si potrebbe ricavare il principio – valido per la sperimentazione e anche per la somministrazione di farmaci o vaccini – che il parametro di riferimento per valutare la possibile responsabilità del somministratore sia costituito dall’avere sottovalutato specifiche «controindicazioni clinicamente evidenti» (in base alle conoscenze scientifiche del momento), oppure anche solo per la presenza di «elementi di sospetto circa una predisposizione in tal senso» in relazione alla situazione clinica specifica in cui versa il soggetto.