Nonostante il recente calo documentato dal rapporto OsMed sul consumo dei farmaci in Italia, il nostro Paese ha anche livelli di consumo di antibiotici superiori a quelli della media europea: 17,5 DDD/1000 abitanti die in Italia versus la media europea di 16,4, considerando che i consumi europei oscillano tra le 8,3 e le 25,7 DDD/1000 abitanti die. Tuttavia, le differenze non si limitano all’ammontare di antibiotici prescritti, ma riguardano anche alcuni indicatori di qualità come il ricorso a molecole ad ampio spettro, ovvero quelle a maggior impatto sulle resistenze antibiotiche e pertanto considerate di seconda linea, che in Italia è ben al di sopra rispetto agli altri Paesi europei.
Infatti il rapporto tra il consumo di molecole ad ampio spettro e il consumo di quelle a spettro ristretto è pari in Italia a 13,2, mentre il valore europeo è 3,7.
Due anni fa, inoltre, è stato registrato un incremento della proporzione di consumo di antibiotici ad ampio spettro e di ultima linea sul totale dei consumi di antibiotici in ambito ospedaliero (+ 54,5 per cento), collocando l’Italia ben al di sopra della media dei Paesi Europei (+41 per cento). La molecola a maggior consumo per giornata di degenza nel 2021 è risultata l’associazione amoxicillina/acido clavulanico: seguita dal ceftriaxone e da un’altra associazione, piperacillina/tazobactam.
Target non raggiunti
Medesime considerazioni possono riferirsi all’utilizzo dei farmaci appartenenti al gruppo “Access” della classificazione dell’Oms “AWaRe”, che rappresentano i farmaci antibiotici di prima scelta.
Il tredicesimo Work-Program dell’Oms 2019-2023 ha stabilito come obiettivo una quota del consumo riferibile agli antibiotici nel gruppo “Access” pari ad almeno il 60% del consumo totale di antibiotici a livello nazionale. In Italia, dove il gruppo “Access” costituisce solo il 53 per cento del consumo totale, tale target non è stato raggiunto, anche con differenze molto marcate a livello regionale, mentre la media europea è di oltre il 60 per cento.
Soltanto altri otto Paesi in Europa – Norvegia, Malta, Grecia, Ungheria, Romania, Cipro, Slovacchia e Bulgaria – non hanno raggiunto il target stabilito dall’Organizzazione Mondiale della Sanità.
La variabilità regionale: si consumano molti più antibiotici al Sud
Dall’ultimo rapporto sull’uso degli antibiotici redatto dall’Osservatorio nazionale sull’impiego dei medicinali emerge ancora un’ampia variabilità regionale nel consumo territoriale a carico del servizio sanitario nazionale che al Sud è superiore di quasi il 30 per cento rispetto al Nord (15,3 DDD/1000 ab die vs 12,0 DDD). Anche considerando l’acquisto privato, le regioni del Sud (19,5 DDD/1000 ab die) sono quelle con il consumo territoriale (pubblico e privato) più elevato rispetto a quello registrato al Centro (15,9 DDD/1000 ab die) e al Nord (13,0 DDD/1000 ab die).
Inoltre, nelle regioni del Sud vi è anche una maggiore predilezione alla prescrizione di categorie di seconda scelta (cefalosporine di terza generazione, macrolidi, fluorochinoloni), un maggior ricorso a molecole ad ampio spettro e una quota minore di consumo di antibiotici appartenenti al gruppo “Access”.
Il Rapporto poi evidenzia un incremento del 6,6 per cento rispetto al 2020 dell’acquisto privato di farmaci antibiotici di classe A che, con 4,1 DDD/1000 abitanti die, rappresentano il 24 per cento dei consumi totali della categoria.
Il caso azitromicina durante Covid-19
Un altro ambito di inappropriatezza evidenziato dal Rapporto riguarda l’uso dell’azitromicina durante la pandemia da Sars-CoV-2. Infatti, l’azitromicina è l’unico principio attivo (insieme alla fosfomicina) per il quale i consumi complessivi del 2020 (1,3 DDD/1000 abitanti die) non sono diminuiti rispetto al 2019 e si mantengono elevati anche nel corso del 2021 (+2% rispetto al 2020).
Inoltre, nel primo semestre 2022 rispetto al corrispondente periodo del 2021 si osserva un forte incremento del 45,1% a livello nazionale, con variazioni più evidenti al Centro (+57,9%), rispetto al Nord (+43,4%) e al Sud (+40,7%).
Tali andamenti sono stati registrati nonostante la pubblicazione della scheda informativa Aifa ad aprile 2020 (poi aggiornata a maggio) che ha stabilito che l’uso di tale antibiotico per indicazioni diverse da quelle registrate doveva essere considerato esclusivamente nell’ambito di studi clinici randomizzati e in caso di eventuali sovrapposizioni batteriche.
Uso ospedaliero: il centro è in testa
Nel 2021 si è osservato, a livello nazionale, un consumo ospedaliero di antibiotici pari a 70,6 DDD/100 giornate di degenza (di seguito DDD) con una riduzione del 23,3 per cento rispetto all’anno precedente, sebbene con variazioni diverse tra le tre aree geografiche: il Centro mostra i consumi più alti (79,3 DDD) e la riduzione meno marcata (-12,6 per cento), mentre il Nord mostra livelli di consumo meno elevati (67,4 DDD) e una maggiore contrazione (-29,0%).
L’andamento dei consumi ospedalieri nel periodo 2016-2021, seppur stabile, non ha consentito di raggiungere l’obiettivo stabilito dal PNCAR 2017- 2021, che prevedeva una riduzione dei consumi maggiore del 5%. Il rapporto monitora l’andamento dei carbapenemi, categoria di antibiotici a forte impatto sull’ulteriore insorgenza di resistenze, che hanno osservato un andamento dei consumi rispetto al 2020 pressoché stabile (-2,6%), mentre a livello delle aree geografiche si registrano variazioni eterogenee: -16,6 per cento al Nord, +29,4 per cento al Centro e +2,3 per cento al Sud.
L’eterogeneo incremento dei carbapenemi a livello regionale che si osserva nel corso del 2021 suggerisce un possibile uso inappropriato di questa categoria. Valutato l’andamento dei consumi di questa categoria e dell’incidenza delle resistenze nel nuovo Piano nazionale di contrasto all’antibioticoresistenza (PNCAR) 2022-2025 è stato, infatti, stabilito come obiettivo la riduzione del consumo di carbapenemi di almeno il 10 per cento in ambito ospedaliero nel 2025 rispetto al 2022.
Dati da integrare
Nonostante la riduzione dei consumi complessivi nel 2021 rispetto al 2020, si registra un aumento nel ricorso ai principi attivi per il trattamento delle infezioni resistenti agli antibiotici; questo può indicare sia la maggior necessità di trattare tali infezioni sia un uso inappropriato che ha un forte impatto sull’ulteriore sviluppo delle resistenze.
Dalla valutazione dell’indicatore dell’ESAC (Antimicrobial Consumption Network) sulla quota percentuale del consumo di antibiotici ad ampio spettro e/o di ultima linea sul totale del consumo ospedaliero, si osserva una percentuale in Italia del 54,5 per cento, rispetto alla media europea del 41 per cento. Tale quota è inoltre aumentata rispetto a quanto osservato nel 2019 e nel 2020.
Come anche sottolineato dall’Ecdc, al fine di ridurre l’uso di antibiotici ad ampio spettro e di ultima linea sarebbe necessario integrare i dati di consumo con quelli sull’AMR sia a livello nazionale sia locale. Infine, il Rapporto oltre a rispondere ad un obiettivo del PNCAR 2022-2025 fornisce importanti strumenti sia a livello locale che nazionale al fine di promuovere l’appropriatezza d’uso, fornendo indicatori riconosciuti a livello internazionale e i target da raggiungere e monitorare i risultati raggiunti.
https://www.aboutpharma.com/scienza-ricerca/resistenza-agli-antibiotici-perche-la-distanza-dellitalia-dalleuropa-e-ancora-marcata/