Matteo Renzi prepara il piano per superare l’articolo 18. Primo passo nella legge di stabilità, con le risorse per gli ammortizzatori. Poi il Jobs act, con un meccanismo di indennizzo rafforzato al posto della reintegra che ora tutela solo i lavoratori in aziende sopra i 15 dipendenti. Ieri Renzi, illustrando il programma dei mille giorni («ultima chance per cambiare il Paese») ha accennato anche alla possibilità di un decreto sul lavoro, se la delega non dovesse camminare in Parlamento. Un messaggio diretto, oltre che al Parlamento, pure a Bruxelles per rimarcare l’intenzione del governo di fare sul serio. In serata Renzi, durante la direzione del Pd, torna a parlare di lavoro e Jobs act spingendosi oltre. «La riforma non si sintetizza nella discussione sull’articolo 18 sì o no, che va fatta una volta per tutte, ma — sottolinea il premier — dovrà avere un primo pacchetto sul sistema ammortizzatori».
Lavoro, delega ampia al governo. Oggi l’emendamento. Nel decreto attuativo Renzi pronto a sostituire la reintegra con l’indennizzo
Nel Ddl Jobs act si profila una delega ampia al governo per riscrivere, attraverso il Testo unico semplificato, lo Statuto dei lavoratori con l’esplicito riferimento al tema delle mansioni, delle tecnologie per i controlli a distanza e al contratto a tempo indeterminato modellato sul contratto a tutele crescenti. Nell’esercizio della delega, in un secondo tempo, Renzi è determinato a cancellare la reintegra in caso di licenziamento, sostituendola con un indennizzo. Ieri sera i tecnici stavano ancora lavorando all’emendamento al Jobs act, i cui contenuti sono stati illustrati dal ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, nella riunione avuta con i capigruppo di Camera e Senato del Pd, e con quelli delle altre forze di maggioranza. Il testo sarà presentato oggi in commissione Lavoro del Senato sotto forma di emendamento del Governo-relatore (Maurizio Sacconi, Ncd) all’articolo 4 del Ddl delega: prima si terrà una riunione con i capigruppo della maggioranza per il via libera.
L’emendamento era atteso per ieri, ma a causa delle divisioni interne al Pd sul tema dei licenziamenti, è stato rinviato. L’intervento del premier Renzi sul programma dei mille giorni, con la minaccia di agire con un decreto legge se il Parlamento non sbloccherà in tempi rapidi il Ddl delega, ha impresso un’accelerazione nella tabella di marcia del Jobs act che tra il 23 e il 24 settembre andrà in Aula. Prima di poter votare l’emendamento in commissione si dovranno aprire i termini per la presentazione dei subemendamenti e attendere i pareri della commissione Bilancio: saranno necessari ancora alcuni giorni.
L’emendamento farà riferimento al contratto a tutele crescenti che nella declinazione data finora dal Pd equivale ad una nuova tipologia contrattuale a tempo indeterminato, che prevede il congelamento della tutela reale dell’articolo 18 solo per una prima fase di inserimento, con il successivo ripristino della reintegra. «L’emendamento – sostiene il responsabile economico del Pd, Filippo Taddei – conterrà una delega ampia al governo, dai contenuti non vaghi, per una riforma coraggiosa del mercato del lavoro che declini in modo più netto il contratto a tutele crescenti per favorire il lavoro stabile, senza alcun esplicito riferimento all’articolo 18, insieme al tema delle mansioni e dei controlli a distanza». Per Ncd, Sc e Ppi il contratto a tutele crescenti equivale a contratti a tempo indeterminato privi della reintegra in caso di licenziamento, con un indennizzo crescente in base all’anzianità di servizio. «Mi sembra che il presidente del Consiglio sia molto più avanti del suo partito – afferma Sacconi –. Mi auguro si possa trovare un’intesa e che questa sia tarata sulle dichiarazioni di Renzi, rivolte ad una coraggiosa riforma dello Statuto, che riguarda le tipologie e i rapporti di lavoro, articolo 18 incluso».
Va ricordato che in commissione Lavoro al Senato, finora sono stati approvati gli emendamenti a 5 dei 6 articoli, e da luglio è stato accantonato l’articolo 4 sul riordino dei contratti, proprio perché impatta sul tema “caldo” dei licenziamenti. Bisognerà leggere attentamente l’emendamento per capire quali “paletti” saranno posti dal Parlamento all’intervento del governo tramite decreto delegato. «Renzi è stato chiarissimo sui contenuti del Jobs act – sostiene Pietro Ichino (Sc) – in tema di Codice semplificato e di contratto a tutele crescenti. Vigileremo per impedire che i gattopardi che si annidano anche nelle strutture ministeriali riescano a complicare anche cose semplici, depotenziandole o insabbiandole». Renzi è determinato ad abolire l’articolo 18 anche se resta il dissenso della sinistra Pd, espressa dal presidente della commissione Lavoro della Camera, Cesare Damiano: «La delega non può contenere il principio di revisione complessiva dello Statuto – afferma – nella direzione del partito tra il 29 settembre e il 3 ottobre si farà una verifica su Jobs act e legge stabilità per chiarire la posizione del Pd». La delega punta ad assicurare, per la disoccupazione involontaria, tutele uniformi e legate alla storia contributiva dei lavoratori con una rimodulazione dell’Aspi, a superare la normativa Prevista l’istituzione di un’Agenzia nazionale per l’occupazione che si occuperà della gestione centrale dei servizi per l’impiego, delle politiche di attivazione e dell’Aspi. L’organismo partirà L’articolo 3 del Ddl prevede una delega al Governo finalizzata a conseguire semplificazioni e razionalizzazioni delle procedure di costituzione e gestione delle assunzioni. Si Si parte dalla redazione di un testo organico di disciplina delle tipologie dei contratti per arrivare (nella versione attuale) all’introduzione in via sperimentale di nuove forme Per garantire un adeguato sostegno alla genitorialità si prevedono misure diverse, che vanno dall’estensione dell’indennità di maternità a tutte le lavoratrici (anche con in materia di integrazione salariale e l’attuale sistema della cassa integrazione e della mobilità in deroga. Si prevede anche un’estensione dei contratti di solidarietà dall’esperienza cumulata con l’attuazione del primo piano di Garanzia giovani, sarà a costo zero. Prevista anche una razionalizzazione degli incentivi per le assunzioni punta, in particolare, a dimezzare il numero di atti amministrativi necessari per formalizzare un contratto. Semplificazioni anche sui controlli alle imprese contrattuali di inserimento con tutele crescenti. Prevista anche l’introduzione di un compenso salariale minimo, da adottare previa consultazione delle parti sociali contratto parasubordinato) per arrivare al tax credit come incentivo al lavoro femminile. Previsti, tra l’altro, incentivi per accordi collettivi che favoriscano la flessibilità di orario
Renzi, il piano per superare l’articolo 18. In legge di stabilità più risorse agli ammortizzatori sociali per cancellare la reintegra
Il dado è tratto: il simbolo di tutte le battaglie sindacali da più di dieci anni a questa parte e totem della sinistra, l’articolo 18, verrà cancellato. E rischia anche di essere cancellato per decreto, dal momento che Matteo Renzi nel suo discorso in Parlamento sui Mille giorni ha indicato proprio la riforma del lavoro come un’urgenza per il Paese: «Sul Jobs act siamo pronti anche ad intervenire d’urgenza». Nel suo discorso alle Camere e poi durante la direzione del Pd Renzi non annuncia esplicitamente l’intenzione del governo di superare l’articolo 18 con il suo meccanismo di reintegra in caso di licenziamento senza giusta causa, anche se lo fa capire. Ma in serata, a fari dei media spenti, spiega a chi ascolta qual è il piano: prima, nella Legge di stabilità, saranno trovati i fondi per rafforzare le tutele per chi perde il posto di lavoro in modo da accompagnare il lavoratore nel suo percorso di reinserimento «come avviene nelle socialdemocrazie europee»; dopo, con il Jobs act, si riformerà lo Statuto dei lavoratori superando l’ingiusto dualismo tra lavoratori di serie A e lavoratori di serie B. E prevedendo appunto un meccanismo di indennizzo rafforzato per tutti i lavoratori al posto della reintegra che ora tutela solo quelli che lavorano in aziende al di sopra dei 15 dipendenti. Una riforma che da sola – credono e sperano a Palazzo Chigi – potrebbe convincere gli euroburocrati ad allentare i vincoli di bilancio: è la dimostrazione che Renzi fa sul serio.
D’altra parte per tutta la giornata il messaggio più forte Renzi lo ha dato proprio sul lavoro, e direttamente alla sinistra del suo partito. «Non c’è cosa più iniqua che dividere i cittadini tra quelli di serie A e quelli di serie B – è la sfida del premier ai suoi parlamentari –. Tu sei una mamma di trent’anni: sei dipendente pubblica o privata e hai la maternità, sei una partita Iva e non conti niente; tu sei un lavoratore: stai sotto i quindici dipendenti non hai alcune garanzie, stai sopra sì». Essere di sinistra, incalza Renzi, vuole dire essere contro questa diseguaglianza: «Questo è un modo del lavoro basato sull’apartheid». Quanto all’articolo 18, Renzi in Aula nota che «reintegro o non reintegro dipende dalla conformazione geografica e non dalla fattispecie giuridica». Con la riforma Fornero, insomma, ormai dipende dalla sensibilità del giudice che deve dirimere la controversia. Ora il nodo è tutto politico, ed interno al Pd: Renzi ha bisogno di portare con sé il suo partito o almeno la sua maggioranza. E annunciando la nuova segreteria unitaria promette una direzione ad hoc i primi di ottobre proprio sul Jobs act. Ma le reazioni di personalità come Stefano Fassina («Renzi propone tutte lavoratrici e lavoratori di serie C») e Cesare Damiano («no alla cancellazione dell’articolo 18») sono lì a testimoniare l’arduo compito del premier-segretario.
Urgenza, ma certo non la possibilità di procedere per decreto, è stata ribadita da Renzi in Aula anche sulla legge elettorale. «Non per andare a votare subito, ma per evitare l’ennesima melina istituzionale. Entriamo nell’ordine di idee che la legislatura finirà nel febbraio del 2018». Anche se – aggiunge Renzi – «ogni valutazione sul passaggio elettorale deve essere preceduta dalla capacità di questo Parlamento di dire cosa fare nei prossimi tre anni». Fino al 2018, insomma, solo se si fanno le riforme. A cominciare appunto da quella sul lavoro.
Nel discorso di Renzi c’è poi la conferma della svolta garantista del Pd, una vera e propria rivoluzione culturale in un partito abituato a stare quasi per riflesso condizionato dalla parte del Pm. «Noi aspettiamo le indagini e rispettiamo le sentenze, ma non consentiamo ad un avviso di garanzia di cambiare la politica industriale di questo Paese o di costituire un vulnus all’esperienza politica di una persona», dice il premier riferendosi al numero uno dell’Eni, Claudio Descalzi ma anche all’inchiesta bolognese sulle spese della Regione. Alla fine dei Mille giorni – promette infine Renzi – ci saranno anche «un fisco più semplice e meno complesso», una riforma della giustizia «che deve cancellare il violento scontro ideologico del passato», una legge sui diritti civili, una riforma della Rai «in cui la governance sarà sottratta ai singoli partiti». «È l’ultima chance per l’Italia. Se perdiamo, non perde il governo ma il Paese».
Il Sole 24 Ore – 17 settembre 2014