«Leggo discussioni e ultimatum che capisco poco. Il lavoro non è una materia a piacere, che si può portare o non portare. È un pacchetto che sta insieme. Apprendistato e contratto a termine sono due punti intoccabili, si possono migliorare, discutere, ma non sono due argomenti a piacere. Questo dev’essere chiaro».
Il premier e leader del Pd Matteo Renzi parla alla direzione del suo partito e, di fronte alle molte perplessità espresse dalla sinistra interna a cominciare dall’ex viceministro Stefano Fassina, blinda di fatto il decreto Poletti che semplifica l’apprendistato e allunga da uno a tre anni il tempo in cui si può stipulare un contratto a termine senza causale. Di fronte alle richieste giunte dalla minoranza di evitare il voto proprio per lasciare aperte le porte del dialogo in Parlamento su apprendistato e contratto a termine, Renzi risponde mettendo appunto al voto la sua relazione – che spazia dai temi del lavoro a quelli delle riforme costituzionali alla nomina dei due vicesegretari Debora Serracchiani e Lorenzo Guerini (si veda l’articolo a pagina 9) –: 93 favorevoli, 8 astenuti, 12 contrari. «Se si è scelto di fare un decreto – precisa Renzi – è perché abbiamo immaginato l’urgenza della risposta rispetto alla credibilità e alla coerenza complessiva della manovra. Non dimentichiamo che con le regole attuali, vidimate dai sindacati, siamo passati da 25% al 40% di disoccupazione giovanile. Non si risolve il problema lavoro rendendo più difficile l’accesso al lavoro dei nostri giovani».
Il “piano Renzi” va dunque preso tutto intero. Anche perché se da una parte il premier è andato incontro alle richieste degli industriali in tema di flessibilità, dall’altra ha restituito ai meno abbienti una sorta di quattordicesima con il taglio dell’Irpef per chi percepisce unnetto mensile sotto i 1.300 euro, come Renzi ha detto ieri confermando indirettamente che la platea dei beneficiari sarà probabilmente per quest’anno più ristretta di quanto pensato all’inizio con l’intervento al di sotto dei 1.500 euro (si veda quanto anticipato dal Sole 24 Ore di ieri). «Il taglio dell’Irpef è una quattordicesima – rivendica Renzi –. Non è mai successo prima». È grazie al bonus di 80 eruo in busta paga, spiega poi il premier in serata su La7 a Enrico Mentana, che il governo spera di spingere il Pil all’1% nel 2014, superando quello «0,8-0,9% che sarà indicato nel Def». Il punto è che il decreto Poletti è ora in commissione Lavoro della Camera, presidente il “bersaniano” Cesare Damiano. E, come non perde tempo a ricordare Fassina, i parlamentari sono espressione di un’altra dirigenza del partito. Insomma, in Parlamento Renzi non può stare così cometranquillo in direzione. «Noi siamo stati eletti in Parlamento su una proposta di politica economica alternativa a questa. La proposta sul mercato del lavoro del governo è quella di Sacconi», replica con una certa foga Fassina.
Per Fassina, così come per tutta la minoranza interna compreso l’ex segretario Guglielmo Epifani, i punti da rivedere del decreto sono la durata del contratto a termine e il numero di proroghe ammesse: «Per quanto mi riguarda i contratti a termine non potranno durare più di due anni, non tre come ora previsto, e le proroghe ammesse dovranno essere tre e non otto». La minoranza contesta anche che, intervenendo con decreto sui contratti a termine e lasciando il contratto a tutele crescenti nel Jobs act come Ddl delega si sono invertite le priorità. «Dobbiamo partire dalla porta principale e non da quelle secondarie – ricorda Epifani –. La porta principale è quella di un contratto di inserimento a tempo indeterminato rispetto al quale possiamo immaginare un periodo di prova più lungo rispetto a quanto previsto oggi. Esattamente quello che Renzi ha sempre detto». La battaglia è appena cominciata, dunque. E non a caso mercoledì prossimo il ministro del Lavoro Giuliano Poletti incontrerà i deputati per tastarne il polso.
Il Sole 24 Ore – 29 marzo 2014