«Il Ministero della Salute, con i competenti Servizi veterinari e di sicurezza alimentare, si è rivelato determinante nel campo della sanità pubblica veterinaria nel gestire validamente alcune emergenze sanitarie di portata internazionale». Segno che il modello organizzativo italiano è valido sia in condizioni ordinarie che eccezionali. È dedicato alla sanità pubblica veterinaria – sanità animale e sicurezza alimentare – un ampio capitolo della Relazione sullo Stato Sanitario del Paese 2009 – 2010 che il ministro della Salute Renato Balduzzi ha presentato questa mattina nella sede del Ministero, dopo aver incontrato ieri il Capo dello Stato Giorgio Napolitano. La versione integrale della Relazione. Balduzzi: «Le indicazioni per risolvere le criticità della sanità». Le risorse del Ssn
La relazione presenta un quadro in chiaro scuro ma, come si legge nella presentazione, «il Servizio Sanitario Nazionale italiano è stato in grado di rispondere positivamente alle grandi sfide dovute ai mutamenti demografici ed epidemiologici con il miglioramento dei livelli di sopravvivenza, conseguente a un andamento della mortalità in notevole diminuzione nel nostro Paese, e con l’innalzamento dell’aspettativa di vita della popolazione, che in Italia presenta valori tra i più alti dei Paesi europei». Risultato che è stato conseguito «attraverso l’attuazione di politiche condivise tra lo Stato e le Regioni volte a garantire la corretta erogazione dei Livelli Essenziali di Assistenza in condizioni di appropriatezza ed efficienza su tutto il territorio italiano»
Per quanto attiene alla sanità animale, attraverso un efficiente sistema di controllo e mediante un approccio focalizzato sull’attività di prevenzione, coerente con la strategia europea, la presentazione evidenzia, come il Ministero abbia posto in essere nel biennio « adeguati piani di emergenza che, supportati da opportune risorse umane e tecniche, hanno consentito di attuare le più efficaci misure di tutela e salvaguardia per fronteggiare gli eventi sia attraverso il Centro di Lotta contro le malattie animali sia attraverso la rete degli Uffici veterinari periferici».
In tema di sicurezza alimentare la nota sottolinea come «il modello organizzativo italiano appaia oggi sicuramente il più adeguato a operare in condizioni ordinarie, ma anche ad affrontare tempestivamente le emergenze alimentari. In poco più di un anno si sono verificati tre crisi nel settore alimentare – le mozzarelle blu, la diossina nelle uova e nelle carni suine e la contaminazione da Escherichia coli verocitotossico dei germogli vegetali –, tutte aventi come origine la Germania. Nell’ultimo drammatico caso, il Laboratorio di riferimento della UE per l’E. coli, all’Istituto Superiore di Sanità, ha fornito un prezioso contributo alla soluzione della crisi diffondendo una metodologia in grado di realizzare tempestivamente l’analisi per verificare la presenza del batterio. L’Italia ha reagito bene in tutte le situazioni di emergenza. Il Ministero della Salute, i NAS, le Regioni e le Aziende Sanitarie Locali, nonché l’Istituto Superiore di Sanità e gli Istituti Zooprofilattici, rappresentano una rete di protezione del consumatore italiano e di supporto alle imprese del settore alimentare interessate all’esportazione».
a cura di Cristina Fortunati – 13 dicembre 2011 – riproduzione riservata
Relazione sullo stato sanitario del Paese 2009-2010: evitabili 51mila morti e almeno il 10% dei ricoveri
Sanita.ilsole24ore.com – 13 dicembre 2011
Le malattie cronico-degenerative, legate all’invecchiamento, si confermano nel 2009-2010 le principali cause di morte: le malattie del sistema circolatorio e i tumori rappresentano, ormai da anni, le prime due più frequenti cause di morte, responsabili nel 2008 di ben 7 decessi su 10 (396.692 su 578.190 decessi totali).
Tra gli uomini, le malattie del sistema circolatorio, per la prima volta nel 2008, divengono la prima causa di morte (97.953 decessi su 281.824 totali), superando i tumori (97.441). Tra le donne invece le malattie cardiovascolari si confermano principale causa di morte con 126.531 decessi su 296.366 (43%), mentre i tumori, responsabili di 74.767 decessi (25%), rappresentano la seconda grande causa di decesso.
È questo il quadro che emerge dalla Relazione sulla situazione sanitaria del Paese 2009-2010 presentata questa mattina del ministro della Salute Renato Balduzzi.
La riduzione della mortalità per tumori che ha avuto inizio più recentemente a partire dagli anni novanta, spiega la Relazione, è del 20% circa tra gli uomini e del 10% fra le donne.
«Si prevede che nel 2010, in Italia – si legge – si verifichino circa 122.000 decessi per tumore nella fascia d’età 0-84 anni, di cui il 59% costituito da uomini (circa 73.000). Tale cifra é il risultato della progressiva riduzione della mortalità per tumore, attesa anche per i prossimi anni in entrambi i sessi. Il risultato complessivo, nel periodo 1998-2005, é quello di un trend in riduzione della mortalità per tutti i tumori».
I nuovi casi di tumore diagnosticati nel 2008, segnala poi la Relazione, «sono stimati in circa 254.000, 132.000 fra gli uomini e 122.000 tra le donne (fascia di età 0-84 anni)».
Per quanto riguarda la prevalenza, i dati evidenziano come in italia «il 4,2% del totale della popolazione abbia avuto una diagnosi di tumore, pari a circa 2.250.000 soggetti (987.540 maschi e 1.256.413 Femmine). Tra le donne la diagnosi più frequente (42%, oltre mezzo milione di italiane) é rappresentata dal tumore della mammella, seguito da colon-retto (12%), endometrio (7%) e tiroide (5%). Tra gli uomini, il 22% dei casi prevalenti (quasi 220.000 Italiani) é costituito da pazienti con tumore della prostata, 18% della vescica e 15% del colon-retto. Quasi 1.300.000 italiani (2,2% della popolazione) sono lungo-sopravviventi, hanno cioé avuto una diagnosi di tumore da più di 5 anni. Costoro sono spesso liberi da malattia e da trattamenti antitumorali. Quasi 800.000 persone (l’1,5% della popolazione) sono vive dopo oltre 10 anni dalla diagnosi di tumore».
In termini di impatto delle malattie e quale fonte di indicazioni nell’area degli interventi di prevenzione, la Relazione sottolinea l’importanza della cosiddetta mortalità evitabile. Una causa di morte viene detta “evitabile” quando si conoscono interventi capaci di ridurre il numero di decessi da essa provocati, in particolare in età non avanzata. Complessivamente, nel 2008 i decessi nella popolazione inferiore a 75 anni attribuibili al gruppo di cause considerate prevenibili con interventi di prevenzione primaria ammontano a poco meno di 51.000. Il confronto con i dati relativi agli anni precedenti mostra una tendenza al decremento della mortalità per questo gruppo di cause. Si evidenziano importanti differenze di genere; se i decessi per questo gruppo di cause evitabili rappresentano solo il 3,8% del totale dei decessi femminili, tra gli uomini la percentuale sale al 14,0% e, se si considerano solo i decessi che si verificano prima dei 75 anni di età, il peso del gruppo delle cause evitabili con prevenzione primaria sale rispettivamente a 36,9% per gli uomini e a 18,5% per le donne. Nell’insieme di questo gruppo, la componente maggiore è rappresentata dai tumori (43,8%) e in particolare dal tumore del polmone (34,7%); seguono le malattie dell’apparato circolatorio, rappresentate interamente dalle malattie ischemiche del cuore (31,9%) e cause violente (22,2%). Nel 2008, su circa 12 milioni di dimissioni ospedaliere registrate poco meno di 940.000 riportavano come diagnosi principale una delle patologie del gruppo di cause prevenibili con interventi di prevenzione primaria.
Anche per le ospedalizzazioni, come per la mortalità, si evidenziano importanti differenze di genere. L’ospedalizzazione “prevenibile” pesa per il 4,8% sul totale delle ospedalizzazioni femminili e per l’11,3% su quelle maschili e, se si considera solo la popolazione sotto i 75 anni di età, le percentuali salgono a 14,2% per gli uomini e a 6,1% per le donne.La componente maggiore del gruppo di cause dì ospedalizzazione contrastabili con interventi di prevenzione primaria è costituita dalle cause “esterne” e cioè gli avvelenamenti e i traumatismi, che rappresentano complessivamente il 62,6% del gruppo di cause considerato, ma arrivano a rappresentare ben il 73,2% tra le donne (contro il 57,6% tra gli uomini); al secondo posto, in termini percentuali, vi sono le malattie ischemiche del cuore (che rappresentano il 27,7% del totale fra gli uomini e il 18,1% fra le donne), infine il gruppo dei tumori (12,1% tra gli uomini e 6,6% tra le donne).
A livello internazionale i dati elaborati da Eurostat e riporrati nella Relazione mostrano chiare differenze tra gli Stati membri nella speranza di vita senza disabilità. Il valore medio europeo è per gli uomini di 61,5 anni, tuttavia varia da un minimo di 52 anni in Lettonia e Slovacchia a un massimo di 71 anni in Islanda. Gli uomini italiani si caratterizzano nel quadro europeo per avere un’elevata longevità (terzi solo dopo gli islandesi e gli svedesi), ma un valore inferiore rispetto a quello medio europeo nella percentuale degli anni vissuti liberi da disabilità (79,6%). La speranza di vita senza disabilità è di 62,8 anni, circa un anno di più della media europea.
Nelle donne dell’Ue-27 il valore medio della percentuale degli anni senza disabilità sul totale degli anni vissuti è più basso rispetto a quello osservato negli uomini: 75,8%. Le donne italiane si caratterizzano per avere una sopravvivenza complessiva tra le più alte in Europa: il valore di 84,2 anni è più basso solo di quello osservato per le spagnole (84,3 anni) e per le francesi (84,9 anni); tuttavia, in forte analogia con quanto osservato negli uomini italiani, la percentuale degli anni vissuti senza limitazioni (73,5%) è inferiore a quella europea. Nelle donne la speranza di vita libera da disabilità è di 61,9 anni, mentre quella Ue-27 è di 62,3 anni.
L’aspettativa di vita per un cittadino di 65 anni dell’Europa a 27 Paesi è di 17 anni se uomo e di 20,5 anni se donna. Tuttavia, il vantaggio femminile di 3,5 anni si annulla quando si misurano gli anni senza disabilità: un uomo e una donna di 65 anni possono contare di vivere, rispettivamente, 8,7 e 8,9 anni in assenza di limitazioni severe o moderate nelle attività della vita quotidiana.
La Relazione conferma poi i dati di spesa 2010 già resi noti in estate dalla Corte dei conti: i dati disponibili sulle spese del Ssn nel 2010, relativi al quarto trimestre, indicano un livello di spesa che si attesta sui 111,168 miliardi di euro.
I disavanzi continuino a rappresentare un fenomeno prevalentemente localizzato nel Centro-Sud.
L’analogo dato in merito alla spesa, consolidato per l’anno 2009, era di 110,219 miliardi di euro con un incremento annuo dello 0,9%, inferiore a quello registrato nel 2009 (2,9%), ma superiore all’incremento annuo del Pil (2,2%). La quota del Pil assorbita dal Ssn nel 2010, pari al 7,10%, risulta quindi lievemente inferiore a quella del 2009 (7,20%).
Una dinamica simile si osserva anche dal lato del finanziamento del Ssn, che nel 2010 rappresenta il 7,0% del Pil, come re-gistrato nel 2009, seppure a fronte di un rallentamento più marcato del trend: +1,8% nel 2010 rispetto al +3,2% del 2009.
Il 2010 fa pertanto ancora rilevare un disavanzo del Ssn di circa 2,3 miliardi di euro che ne prosegue il trend di tendenziale riassorbimento già avviato negli anni prece-denti (era pari a 3,2 miliardi di euro nel 2009), con un più marcato rallentamento (da -6,3% del 2009 sul 2008 a -28,5%): il sistema sanzionatorio differenziato per le Regioni che non hanno sottoscritto il Pdr e per quelle che lo hanno sottoscritto introdotto per garantire l’effettiva copertura di disavanzi non coperti nel settore sanitario, unito agli incrementi dei finanziamenti destinati al Ssn negli ultimi anni, ha conseguito il risultato atteso di graduale raffreddamento della dinamica della spesa sanitaria e rientro dai disavanzi sanitari. Anche in termini relativi, il disavanzo indica nel 2010 una lieve riduzione, passando dallo 0,21% allo 0,15% del Pil.
Portando l’analisi dal livello nazionale al livello regionale, si osserva come, sia nel 2010 sia nel 2009, i disavanzi sanitari continuino a rappresentare un fenomeno prevalentemente localizzato nel Centro-Sud del Paese e più in particolare in un gruppo di 4 Regioni (Lazio, Campania, Puglia e Sardegna) che spiegano oltre il 90% del disavanzo complessivo netto del Ssn nel 2010. I valori procapite del disavanzo più elevati sono quelli del Lazio, seguito da Molise, Campania, Sardegna, Valle d’Aosta e Calabria.