Da quest’anno scatta lo stop ai tagli dei vitalizi degli ex consiglieri regionali in almeno una decina di Regioni italiane, a partire da Lazio, Lombardia e Veneto che furono fra le prime, nel 2015, a impugnare la scure. La sforbiciata – che mediamente incide per il 10% circa sugli assegni più alti garantiti a 3.183 ex consiglieri – è destinata ad esaurire i suoi effetti anche nelle Regioni che si sono mosse in ritardo, mano a mano che passeranno i tre anni dalla sua adozione. Eccezione di rilievo sembra essere la Campania che ha fatto scattare la riduzione dei vitalizi dei suoi 246 ex consiglieri proprio dal primo gennaio del 2018 con durata fino alla fine della legislatura. Anche la Basilicata e l’Emilia hanno varato leggi regionali sugli ex vitalizi nel corso del 2017 e quindi i loro tagli scadranno più tardi rispetto alle consorelle.
Ma come è possibile che sui vitalizi regionali, considerati uno dei simboli dei privilegi dei politici perché spesso ottenuti a 50 anni(Lazio) o perché cumulabili fino a garantire redditi netti da 11/12.000 euro al mese, si stia delineando una clamorosa marcia indietro? La ragione è molto semplice: sui vitalizi degli ex consiglieri (quelli in carica non ne avranno diritto) i Consigli Regionali hanno scelto la linea dei tagli temporanei. Se, infatti, fossero state varate leggi per abolire i trattamenti previdenziali in atto o per limarli definitivamente sarebbero state infrante alcune sentenze della Consulta.
IL PUNTO
«Se avessimo adottato misure ancora più drastiche avremmo perso in Tribunale e avremmo dovuto restituire agli ex-consiglieri i risparmi ottenuti e pure gli interessi», spiega Eros Brega, oggi capogruppo Pd nel consiglio regionale umbro e coordinatore dei Consigli Regionali (non delle Regioni, ndr) quando fra il 2014 e il 2015 decisero di varare il «contributo di solidarietà a tempo».
La prova del nove della bontà di questa tesi è arrivata nei giorni scorsi con una sentenza del Tribunale di Torino che ha rigettato il ricorso di 36 ex consiglieri regionali piemontesi che giudicavano i tagli ai loro vitalizi «ingiusti e spropositati». In più i ricorrenti suggerivano ai giudici di chiedere alla Corte Costituzionale di giudicare, appunto, la conformità della norma alla Costituzione della Repubblica. Risultato? I consiglieri in pensione sono stati respinti con perdite e si sono visti addebitare anche 25.000 euro di spese processuali.
Il contributo triennale dunque si è rivelato un escamotage efficace per limare privilegi e costi della politica rispettando quanto la Corte Costituzionale ha stabilito in più di una sentenza e cioè che è possibile intaccare i «diritti acquisiti» come i trattamenti previdenziali e gli stipendi pattuiti a patto che «gli interventi siano ragionevoli e temporanei e non incidano oltre misura sulle aspettative di chi li riceve da anni». Un principio invocato spessissimo dai sindacati per i lavoratori ma che, sulla base dell’articolo 38 della Costituzione per cui tutti i cittadini debbono essere trattati allo stesso modo, vale appunto per tutti.
Già, ma adesso che cosa succederà? Il ritorno ai super-vitalizi, almeno a parole, non piace a nessuno. I Cinquestelle hanno già rispolverato gli slogan per la loro abolizione retroattiva che, se adottata, verrebbe bocciata dalla Corte Costituzionale. Gli esponenti del Pd invece fanno sapere che non appena passerà qualche mese, obbligatorio per via della temporaneità dei tagli, i Consigli Regionali torneranno a dissotterrare la scure di guerra.
Si vedrà. Per ora, comunque, si può fare un primo bilancio dei risultati della lotta al vitalizio regionale. Sul piano economico i risparmi incamerati dalle casse regionali sono valutabili in una quindicina di milioni annui sui 170 milioni di spesa complessiva. E qui va detta una grande verità: si tratta di una minuzia. Basti pensare che la spesa complessiva delle 20 Regioni italiane (che garantiscono la sanità pubblica a 60 milioni di italiani) ammonta a quasi 180 miliardi (non milioni, miliardi) di euro all’anno.
RISULTATI SIGNIFICATIVI
I risultati sono invece molto significativi sul piano simbolico della riduzione dei costi della politica (oggi i consiglieri regionali sono 800 contro i 1.100 delle precedenti legislature) e soprattutto della eliminazione di alcuni privilegi odiosamente satrapici. Un esempio? Con la legge del 2014 che ha fatto scattare il contributo di solidarietà, la Regione Lazio – che ha il non invidiabile record di pagare la somma più alta per i vitalizi fra le 15 regioni a statuto ordinario – ha eliminato l’incredibile possibilità di ricevere il vitalizio a partire dai 50 anni d’età. Un privilegio principesco che consentiva ai consiglieri regionali con un gruzzoletto di contributi di ricevere pensioni da 50.000 euro lordi annui mediamente per 30/35 anni il che equivaleva ad incassare la stratosferica cifra di 1,5/1,7 milioni di euro. Il Lazio ha spazzato via anche il vecchio metodo di calcolo dei vitalizi che consentiva ai vecchi consiglieri di calcolare come contributi previdenziali anche la diaria, cioè i rimborsi per le spese di viaggio o di alloggio. Si, avete capito bene, fino a pochi anni fa i consiglieri regionali laziali se pranzavano o pagavano un affitto facevano scattare un aumento del loro vitalizio.
Meno efficace, invece, è stato l’intervento sulla cumulabilità dei doppi e tripli vitalizi di cui godono circa 300 ex consiglieri regionali che sono stati anche parlamentari. Il contributo di solidarietà adottato dalla maggioranza delle Regioni prevedeva un aumento del 40% per i prelievi in caso di doppio vitalizio. Il che ha comportato anche sforbiciate da 2.000 euro al mese per alcuni ex consiglieri. Ma solo alcune Regioni hanno deciso di eliminare per sempre la possibilità di cumulo. Fra queste la Toscana, le Marche e l’Emilia. In quest’ultimo caso facendo una vittima illustre che però ha accolto le nuove regole di buon grado: Pierluigi Bersani. Che è stato consigliere e presidente della Regione per poi passare dal 2001 alla Camera. In futuro Bersani dovrà optare per il vitalizio dei deputati (che dal 2012 è stato trasformato in pensione) o per quello della Regione Emilia, senza poter cumulare entrambi come è accaduto ad alcuni suoi predecessori.
IL Gazzettino – 7 gennaio 2017