di Sergio Rizzo. Sperimentata con successo da anni a Campobasso, la scissione dell’atomo molisano continua a dare grandi soddisfazioni ai politici locali. Uno sguardo in Regione confermerà tale sensazione. Per 22 consiglieri regionali ci sono infatti ben 16 gruppi consiliari autonomi, dei quali ben 10 (dieci) composti da una sola persona: ognuno presidente di se stesso. Un ulteriore salto di qualità nel formidabile processo di miniaturizzazione della politica capace di esaltare la creatività dei singoli.
Se il gruppo monocellulare dell’ex governatore Michele Iorio, prima sospeso perché condannato e poi reintegrato nel 2014 dopo la prescrizione in Cassazione, è semplicemente «Il Molise», Vittorino Facciolla si spinge fino a «Unione per il Molise» mentre Vincenzo Cotugno esorta: «Rialzati Molise». E pensare che la scorsa consiliatura, quando i consiglieri erano una trentina, cioè il 50% più di ora, i gruppi composti da un solo consigliere erano appena, si fa per dire, nove.
La fotografia del Paese
Il bello è che la febbre capace di contagiare la politica nella più piccola Regione italiana con l’eccezione della microscopica Valle D’Aosta, a dispetto di ogni polemica e vari tentativi di contenerla, dilaga irrefrenabile in tutta Italia. Sapete quanti sono i gruppi regionali con un solo componente? La bellezza di 62 (sessantadue). Niente è cambiato dopo gli scandali dei soldi dissipati per ragioni che nulla avevano a che fare con la politica. Niente, nemmeno dopo le inchieste giudiziarie che hanno fatto finire nel registro degli indagati 521 consiglieri. Niente, neppure dopo il giro di vite imposto a valle di quelle vicende nel 2012 dal governo di Mario Monti, e che di fatto hanno inaridito il fiume di denaro pubblico destinato a quei gruppi nei consigli regionali.
Prima della riformina del 2011 che ha ridotto l’abnorme numero delle poltrone, per oltre 1.100 consiglieri regionali c’erano 75 gruppi monocellulari. Circa il 6,7%. Oggi ce ne sono invece 62 per 904 consiglieri: il 6,8%.
La delibera del divieto
Perfino Regioni che sulla carta li avevano aboliti, quei gruppuscoli, oggi ne sono ipocritamente piene zeppe. Il 16 novembre del 2011, quando il consiglio regionale del Lazio deliberò il divieto, il suo presidente dell’epoca Mario Abbruzzese esultò: «È un provvedimento che elimina di fatto un costo della politica, risolve il problema esistente fino a oggi della frammentazione dei gruppi». Allora, con 70 consiglieri regionali, quelli monocellulari erano 8. Oggi, che le poltrone sono 50, eccone 6. Si è passati dall’11,4 al 12%.
Non che il divieto sia stato aggirato, sia chiaro. Semplicemente ci hanno pensato prima ancora delle elezioni. Ogni lista, un gruppo. Troviamo allora La Destra, con unico suo componente Francesco Storace. Da non confondere con la «Lista Storace», dove c’è sola soletta Olimpia Tarzia. E poi il gruppo «misto», nel quale Pietro Sbardella, figlio dell’indimenticato Vittorio, per tutti «lo squalo» per decenni dominatore di quell’area a cavallo fra la destra fascista e la destra andreottiana che a Roma spadroneggiava, si mischia evidentemente con se stesso. Che dire, infine, della lista civica Bongiorno affidata a Marino Fardelli? Che manca proprio lei, Giulia Bongiorno.
La creatività, dicevamo, è al potere. Così in Abruzzo, dove il taglio dei consiglieri da 40 a 30 ha fatto lievitare i gruppi monocellulari del 50%, da 4 a 6. Così pure in Veneto, dove la lista Tosi per il Veneto, che di consiglieri ne ha ben 3, non ha impedito a Giovanna Negro di capeggiare isolata il gruppo «Il Veneto del fare – Flavio Tosi». Ma Tosi dov’è? A Verona a fare il sindaco, naturalmente.
Le assunzioni
Per chi si chiede come mai tutto questo, una risposta c’è. Una volta per i gruppi regionali c’era a disposizione una barca di soldi. Oggi invece molto meno. Briciole: ma è sempre meglio che niente, con questi chiari di luna. Soprattutto, c’è la possibilità di assumere. Addetti stampa, portaborse… Nel Lazio, per esempio, ogni gruppo può avere fino a 3 collaboratori più l’esperto di comunicazione: al quale qualche giorno fa è stato riconosciuto anche il diritto al contratto giornalistico, con un emendamento ad hoc. E ormai le briciole sono al sicuro, dopo che il referendum costituzionale in salsa renziana è stato bocciato. Perché lì dentro c’era scritto chiaro e tondo: «Non possono essere corrisposti rimborsi o analoghi trasferimenti monetari recanti oneri a carico della finanza pubblica in favore dei gruppi politici presenti nei Consigli regionali». Un bel pericolo scampato…
Il Corriere della Sera – 7 gennaio 2017