La stretta sulle spese dei mini-gruppi in consiglio regionale? Avrebbe i numeri per essere approvata già entro l’anno, ma scatterà soltanto dalla prossima legislatura. Il significativo particolare emerge alla vigilia dell’approdo in commissione Affari Istituzionali del progetto di legge, promosso da quasi tutto l’ufficio di presidenza di Palazzo Ferro Fini e dunque di respiro sostanzialmente trasversale: a quanto pare le resistenze delle formazioni con uno-due-tre rappresentanti sono tali da consegnare ai posteri l’attuazione del provvedimento.
La proposta, il cui esame inizierà domani, riguarda la ripartizione della torta da 3,2 milioni di euro assegnata a partiti e movimenti di stanza sul Canal Grande, con particolare riferimento ai 2,7 destinati agli addetti delle segreterie (i restanti 500.000 euro servono invece alle spese di funzionamento). Finora la dotazione è stata suddivisa in parte in misura uguale per tutti sulla base di una quota fissa minima e in parte in proporzione al numero dei membri: un meccanismo che ha finito per favorire i piccoli a svantaggio dei grandi. Non a caso già in occasione della sessione di bilancio per l’esercizio 2017 era emersa una «ripartizione dei contributi per le spese del personale assolutamente sperequata» ed era stato evidenziato che «tale sperequazione comporta nocumento ai gruppi consiliari a cui aderisce il maggior numero di consiglieri, con grave pregiudizio per la loro operatività», come ricordano il presidente Roberto Ciambetti (Lega Nord), i suoi vice Massimo Giorgetti (Forza Italia) e Bruno Pigozzo (Partito Democratico) e il segretario Antonio Guadagnini (Siamo Veneto), presentatori di un’iniziativa che invece non è stata sottoscritta dall’altro segretario Maurizio Conte, rimasto da solo nella Lista Tosi.
Il testo si ripromette di introdurre un «parametro di ragionevolezza» attraverso l’«individuazione di criteri di assegnazione di risorse fra gruppi di diversa consistenza secondo soluzioni di proporzionalità corretta». Il grimaldello pensato per scardinare l’attuale sistema poggia sulla parte fissa del riparto: quest’ultima non sarà più uguale per tutti, ma «differenziata in ragione della consistenza del gruppo». Dunque le compagini con uno o due componenti riceveranno una quota pari al 70% del trattamento economico medio di un dirigente, con l’aggiunta del corrispettivo per un impiegato;peraltro lo stesso capo segreteria incasserà una paga ridotta del 30% rispetto a quella dei colleghi dei gruppi più affollati. Le squadre con tre giocatori otterranno una somma corrispondente alla retribuzione intera di un dirigente, più l’importo necessario per due addetti. Un metodo che dovrebbe riequilibrare la divisione dei fondi a favore delle maxi-formazioni. Inoltre le eventuali eccedenze dovranno essere restituite per una loro redistribuzione all’interno delle coalizioni. Ma tutto questo a partire dal 2020, quando gli attuali consiglieri regionali potrebbero ormai essere in pensione o, chissà, magari a Roma.
Il Gazzettino – 25 luglio 2017