«Dopo la catalogna, il radicchio». Tra Chioggia e Treviso ha spopolato per settimane la vignetta orticola in cui il governatore Luca Zaia intima ai veneti di votare al referendum di domenica sull’autonomia. Da qualche giorno però, visto il pasticcio di Barcellona, appello e risate sono sospesi. Uno scontro istituzionale alla catalana è l’incubo che in Veneto ora scuote partiti, sindacati, imprenditori, Chiesa e l’ancora solido baluardo delle associazioni. «Chiederemo solo le competenze previste della legge – corregge Zaia a vent’anni dall’assalto venetista al campanile di San Marco – e non faremo nulla di sovversivo, eversivo, o illegale ». Rassicurare il popolo che sommamente onora soltanto gli “schei” serve a scacciare il fantasma delle urne flop. Qui, diversamente che in Lombardia, è necessaria la maggioranza più uno degli elettori. Fallire il quorum, per il leader leghista, non sancirebbe solo lo stop politico alle pretese di più competenze e maggiori risorse finanziarie: in palio ci sono la poltrona a Venezia e la carriera con vista-bis su Roma. Incassato il suicidio referendario del Pd di Renzi, le truppe del Carroccio spostano così in extremis l’attenzione dall’autonomia alla leadership del potere in vista delle regionali 2018. Vietato parlare di secessione, vecchio cavallo di battaglia della Liga e di Bossi, e vietato perfino ricordare che questo voto l’ha voluto proprio l’ex “ministro romano” Zaia. «Non è una gazebata e non metto asticelle all’affluenza – dice il governatore – ma un momento storico in cui tutti i veneti sono chiamati a scegliere il loro futuro». Non tutti però la pensano così. Sul web si moltiplicano le parodie pro-astensione della domanda, trionfo d’ovvietà, che chiede se si vogliono “ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia”. La più cliccata è quella in cui Zaia, grembiule da casalinga e bigodini, chiede a un bebè: «Vuoi bene alla tua mamma?». Al secondo posto c’è quella dell’ultrà che si sente domandare se vuole una tessera a vita per lo stadio. Il problema è che sentirsi rispondere ovviamente “sì” costerà ai contribuenti 14 milioni: sommati a quelli spesi da Maroni in Lombardia, dove si testerà il voto elettronico, fanno 55. A spaccare ancora di più il fronte del Leone di San Marco, le ultime precisazioni dei costituzionalisti. Primo: il referendum è consultivo. Secondo: per attivare i negoziati Venezia-Roma bastava esercitare l’articolo 116 della Costituzione, come ha fatto prima e gratis l’Emilia Romagna. Terzo: anche in caso di valanga di “sì” il Veneto non potrà diventare una Regione a statuto speciale e non c’è alcun obbligo di intesa da parte dello Stato, ammesso che il prossimo parlamento approvi una modifica costituzionale. La totalità dei veneti non può che appoggiare l’ “essere padroni a casa nostra” ma, pur stretta tra le autonomie post-belliche di Friuli Venezia Giulia, Trentino e Alto Adige, si chiede se oggi la provocazione di un referendum popolare sia «la scorciatoia più diretta per tagliare il traguardo». «Una stupidaggine», definisceil voto il re del casual Luciano Benetton. «Localismo e campanilismo – rincara Matteo Marzotto – generano confusione e incentivano logiche di divisione ». “Sì” compatto invece da Confindustria. «Come tutte le regioni virtuose – dice il presidente Matteo Zoppas – è corretto poter disporre di una parte significativa del proprio Pil per competere ad armi pari sui mercati globali». Il punto restano gli “schei”. Il residuo fiscale in Veneto sfiora i 20 miliardi all’anno. Blindare le tasse dei veneti nelle banche locali, appena salvate però proprio da Roma, garantirebbe più fondi per gestire in casa 26 competenze, tra cui istruzione, ambiente, giudici di pace e cultura. Con Zaia, accusato di confondere l’ambizione all’autonomia con la campagna elettorale personale, si schiera con molti distinguo lo stesso centrodestra, che teme una “strategia dei piccoli passi”. Unita la Lega, tiepidi Berlusconi e Forza Italia, contrari Fratelli d’Italia ed ex An. Sì passivo anche da M5S, mentre Pd e centrosinistra si lacerano sul “nì”. Posizione quasi ufficiale: «Sì all’autonomia utile, no al referendum inutile». «Contro la Costituzione – dice il sottosegretario Pd agli Affari regionali, il bellunese Gianclaudio Bressa – sarebbe solo votare no. Per il resto il Governo sull’autonomia è obbligato a trattare, anche senza urne». Imprese e sindacati, sindaci e presidenti di Provincia insistono che «un conto è chiedere per piacere e un altro è pretendere, con oltre 2 milioni di voti nel cappello». Fronti opposti scontati, con un’eccezione cruciale. Con Zaia anche il Patriarca di Venezia, Francesco Moraglia, che schiera le potenti sacrestie ex Dc «per l’autonomia, la grande sfida delle democrazie di oggi ». Maurizio Dassie, parroco di Miane e catechista di Zaia alla scuola enologica di Conegliano, l’ha preso sul serio. «Chi non vota – ha tagliato corto nella predica della domenica – è un vigliacco ». Concreti anche molti sindaci: appuntamenti solo a chi si presenterà con il certificato elettorale timbrato. Altro che maxi-sondaggio. Nel “Veneto dei veneti” il controllo autonomista minaccia di essere la prima mossa del potere post-italiano.
Repubblica – 17 ottobre 2017